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Solo lo smart working flessibile e per obiettivi fa crescere il benessere

di Serena Uccello

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(Summit Art Creations - stock.adobe.com)

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Mappa del Polimi sulla qualità del lavoro agile dopo la proroga fino a marzo per fragili e genitori di under 14. Penalizzato il telelavoro

11 gennaio 2024
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3' di lettura

Con la conversione in legge del decreto Anticipi (Dl 145/2023), a metà dicembre, è arrivata una nuova proroga – fino a marzo – del diritto allo smart working nel settore privato. A usufruirne saranno i genitori di figli sotto i 14 anni e i lavoratori fragili.

Si va, dunque, sempre di più, verso una messa a regime di vari profili di lavoratori: in sede, in smart working, da remoto non smart (telelavoro). Ma tra tutte queste modalità, quale rispecchia le migliori condizioni di benessere per i lavoratori? Nel suo ultimo Osservatorio sullo smart working il Politecnico di Milano ha monitorato anche questo aspetto. Il risultato? Poter scegliere il luogo fisico della prestazione migliora certamente la qualità del lavoro ma è soprattutto il “come” si lavora a fare la differenza.

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Tre le dimensioni del benessere analizzate (sono quelle indicate dall’Oms): psicologica, fisica e relazionale. Il risultato, si legge nel report, è che «complessivamente, il 12% dei lavoratori dichiara di “stare bene” su tutte le dimensioni. Analizzando le tre dimensioni del benessere dei lavoratori, il 30% dichiara di stare bene dal punto di vista fisico, il 35% riporta un elevato livello di benessere psicologico e il 37% ha un alto benessere relazionale».

Questi aspetti, spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio del Polimi, «sono stati sostanzialmente una conferma di quanto già era emerso da nostre o da altre ricerche; il dato invece nuovo riguarda il malessere dei remote worker. Sostanzialmente quello che incide o meno sulla qualità del lavoro non è tanto lavorare o meno da casa, ma il modo. Se cioè si lavora per obiettivi, con tempi flessibili, e sentendosi valorizzati».

I dati mostrano infatti come su tutte le dimensioni del benessere sono gli smart worker a godere di livelli più elevati rispetto alle altre categorie di lavoratori, «mentre i remote non smart” mostrano livelli inferiori di benessere anche rispetto ai lavoratori on-site». Per quanto riguarda il benessere relazionale, «smart worker e remote non smart si posizionano quasi allo stesso livello, mentre gli on-site mostrano livelli di benessere più bassi».

Un risultato determinato dal fatto che il lavoro da remoto introduce necessariamente un nuovo modo di comunicare e di relazionarsi con i colleghi, che in molti casi potrebbe addirittura migliorare la qualità della relazione. Quest’ultimo è un aspetto cruciale, non solo per la qualità del lavoro, ma per il successo della stessa azienda. In contesti in cui la leadership è di qualità, non solo i lavoratori manifestano un livello di soddisfazione maggiore perché si sentono valorizzati da una relazione positiva con il ”capo”, ma in generale tutte le perfomance aziendali sono migliori. «Le aziende che sono più attrattive e che generano più engagement – sottolinea Corso – sono quelle che offrono un modello (non è neanche più in discussione se offrirlo o meno) di qualità organico. Sono anche le aziende che hanno più risultati in termini economici e sul mercato del lavoro». Esiste tuttavia un’altra faccia della medaglia: se lavorare per obiettivi e con orari flessibili è ciò che rende gli smart worker la categoria più soddisfatta, proprio queste due condizioni rendono questa tipologia di lavoratori più esposti ai fenomeni di tecnostress e overworking.

È cresciuta, negli anni, la percentuale di persone che indicano di percepire alti livelli di tecnostress: se nel 2021 interessava un lavoratore su quattro e lo scorso anno la percentuale si attestava al 27%, quest’anno riguarda il 30% dei lavoratori. E gli smart worker vengono confermati come la categoria che maggiormente va incontro a questa criticità: gli impatti negativi a livello psicologico della tecnologia hanno interessato il 38% dei lavoratori smart, il 31% dei lavoratori remote non smart e il 28% di quelli on-site.

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