di Elena Comelli
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È ormai certo, in base ai dati a disposizione, che toccheremo un aumento di 1,5°C delle temperature globali rispetto ai livelli pre-industriali, attorno al 2030. L'ha detto Jim Skea, il fisico scozzese appena eletto alla presidenza dell'Intergovernmental Panel on Climate Change, braccio scientifico delle Nazioni Unite sull'emergenza climatica.
Il nuovo presidente, che sostituisce l'economista coreano Hoesung Lee alla testa del massimo organismo scientifico in materia di clima per il settimo ciclo di studi, insegna energia sostenibile all'Imperial College di Londra ed è anche a capo della commissione scozzese per la Just Transition. Skea si definisce «geneticamente ottimista», ma è convinto che non possiamo più evitare di sforare la soglia più ambiziosa dell'accordo di Parigi. «I colleghi che lavorano al Working Group 1 sulla scienza fisica dei cambiamenti climatici sono molto chiari sul fatto che raggiungeremo un aumento delle temperature globali di 1,5 gradi attorno al 2030, o nella prima parte degli anni ‘30», è stata una delle sue prime dichiarazioni in collegamento da Nairobi, dove si è svolta la votazione che lo ha visto prevalere contro la candidata brasiliana Thelma Krug. Cionondimeno, ha aggiunto, «nello scenario migliore potremo iniziare ad abbassare di nuovo la temperatura globale sotto quella soglia», se i governi applicheranno rapidamente le politiche giuste.
Cosa non ha funzionato? I governi “non hanno messo in atto politiche abbastanza ambiziose da consentire il raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi. Questo è assolutamente certo», ha detto lo scienziato scozzese. E ha aggiunto: “Il mondo non finirà se diventerà più caldo di 1,5 gradi. Tuttavia, sarà un mondo più pericoloso. I Paesi dovranno lottare con enormi problemi e ci saranno molte tensioni sociali». D'altra parte, non bisogna disperare, perché l'umanità avrà sempre il potere d'influire sulla traiettoria futura dell'emergenza climatica. Skea ha precisato: «Possiamo ancora intraprendere azioni per evitare alcune delle peggiori conseguenze del cambiamento climatico, questo dev'essere chiaro. La sensazione di essere paralizzati di fronte a una minaccia letale non ci aiuterà, è importante passare rapidamente all'azione».
Le ondate di calore e le tempeste di questi giorni, per Skea, sono un primo segnale di come sarà il mondo di domani. «Il fatto che queste emergenze stiano accadendo, in un certo senso. non è sorprendente», ha commentato. «La velocità con cui la crisi ci è arrivata addosso, invece, lo è e la situazione è destinata a peggiorare rapidamente, a meno che non s'intraprendano ulteriori azioni per ridurre le emissioni», ha sostenuto Skea, aggiungendo che personalmente non soffre di «ansia climatica esistenziale» perché è molto concentrato sulle soluzioni.
Nella recente sintesi del suo Sesto Rapporto di Valutazione (AR6), pubblicata a fine marzo, l'Ipcc ha evidenziato alcune misure chiave che i governi devono adottare immediatamente se vogliamo evitare il collasso del clima. Uscito dopo sette anni di lavoro, questo gigantesco rapporto comprende l'intera gamma di conoscenze umane sul sistema climatico, raccolte da centinaia di scienziati in migliaia di articoli accademici e pubblicato in quattro parti, nell'agosto 2021, febbraio e aprile 2022 e marzo 2023. Nell'ultima parte, a cui ha contribuito anche Skea, si elencano le soluzioni più efficaci che si possono applicare subito, senza necessità di ulteriori progressi tecnologici.
La prima misura è un taglio netto agli inquinanti climatici di breve durata, a partire dal metano, che potrebbe ridurre di oltre mezzo grado il surriscaldamento globale. Prodotto dall'estrazione e dal trasporto di petrolio e di gas, dalle miniere di carbone e dall'allevamento (soprattutto di bovini), il metano è un gas serra circa 80 volte più potente dell'anidride carbonica, ma resta in atmosfera solo una ventina d'anni prima di degradarsi in CO2. Bloccare le fughe di metano è considerata dall'Ipcc la misura più urgente.
La seconda misura è bloccare la deforestazione. L'abbattimento delle foreste pluviali distrugge alcuni dei più grandi serbatoi di assorbimento del carbonio e rischia di portarci a un "punto di svolta" in cui vaste foreste come l'Amazzonia e il Congo diventano fonti nette di anidride carbonica nell'atmosfera invece di assorbirla. C'è speranza che i recenti tassi disastrosi di deforestazione osservati in Brasile diminuiscano con il ritorno del presidente Lula, ma sarà un'impresa difficile. Anche il Congo è ancora gravemente minacciato e in Malesia e Indonesia continua la distruzione delle foreste per produrre olio di palma.
Il terzo punto citato dall'Ipcc è restituire i territori alla natura. Le foreste sono importanti, ma molti altri ecosistemi naturali, come le zone umide che vengono prosciugate per l'agricoltura, sono altrettanto importanti serbatoi di assorbimento del carbonio. Anche gli oceani e le loro coste, con le paludi di mangrovie e le praterie di alghe, che assorbono carbonio e riducono l'impatto dell'innalzamento del mare, devono essere protetti.
Il quarto punto è cambiare l'alimentazione e l'agricoltura. Nutrire la futura popolazione mondiale utilizzando gli attuali sistemi alimentari sarà impossibile, mentre il passaggio a una dieta più sostenibile, ricca di verdure e povera di carne e latticini, potrebbe contribuire moltissimo al rallentamento della crisi climatica.
Poi ci sono le fonti pulite. L'energia rinnovabile, sotto forma di energia eolica e solare, è ora più economica dei combustibili fossili nella maggior parte del mondo e l'Ipcc indica che lo sfruttamento al massimo delle potenzialità solari ed eoliche, insieme allo stop al consumo di suolo per l'agricoltura, sono le tre misure più efficaci per ridurre le emissioni a effetto serra dei territori.
L'efficienza energetica nei consumi domestici, nell'industria e nei trasporti è un'altra misura chiave: i negawatt sono la migliore energia possibile.
Tra le misure più urgenti c'è anche smettere completamente di bruciare carbone.
L'ottavo punto, “last but not least”, è mettere il clima al centro di tutti i processi decisionali. Solo integrando l'azione per il clima nelle decisioni di tutti gli enti pubblici e privati, chiede l'Ipcc, possiamo sperare di salvare il clima.
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