di Marco Rogari
3' di lettura
Dopo il bis di Quota 103 in versione «penalizzata», il governo rallenta la corsa sulle pensioni. Ma l’ipotesi di una riforma organica è tutt’altro che accantonata perché resta un obiettivo che Palazzo Chigi intende centrare entro la fine della legislatura. Per capire come sarà riorganizzata l’impalcatura previdenziale del nostro Paese occorrerà ancora del tempo. Ma una prima indicazione è arrivata proprio da Giorgia Meloni in quella che è diventata la conferenza stampa di «inizio anno»: la sostenibilità del pianeta previdenza «va costruita con equilibrio: il sistema migliore possibile ma uguale per tutti». Il punto di arrivo sarebbe quello della razionalizzazione delle varie regole che in molti casi differenziano soprattutto le uscite anticipate.
E il denominatore comune, sulla falsariga di quanto già previsto dall’ultima legge di bilancio, dovrebbe essere l’adozione a tutto campo del metodo contributivo per qualsiasi pensionamento prima dei limiti di vecchiaia. Il tutto accompagnato da una maggiore copertura previdenziale dei giovani dando una forte spinta alla previdenza integrativa, che, per il momento, è rimasta priva di nuove agevolazioni a causa delle scarse risorse a disposizione dell’esecutivo. Resta l’incognita di che cosa accadrà nel 2025. Se non saranno ancora maturi i tempi per la riforma - o per l’adozione di Quota 41 sempre in versione contributiva, su cui continua a spingere la Lega - il governo dovrà decidere se confermare ancora per 12 mesi Quota 103 nell’attuale formato o passare a Quota 104, che peraltro era già comparsa nelle prime bozze della manovra.
Nell’ultimo dossier della Ragioneria generale dello Stato sulla previdenza si stima che nel 2040 la spesa per pensioni peserà per il 17% sul Pil, con un andamento quindi ancora più sostenuto di quello attuale, già tutt’altro che trascurabile, come emerge dal bilancio preventivo 2024 dell’Inps che per il prossimo anno indica uscite a carico dell’Istituto per prestazioni pensionistiche per 310,7 miliardi, in crescita del 5,19% sul 2023. Stime non certo tranquillizzanti su cui vigila con attenzione Bruxelles. Anche per questo motivo nel governo si ripete che non si può prescindere dalla sostenibilità del sistema. Che, secondo la premier, va costruita con equilibrio.
Giorgia Meloni ha ribadito che il tema previdenza va affrontato con le parti sociali. Un invito subito raccolto dalla Cisl, mentre Cgil e Uil sembrano non fidarsi troppo del governo. Anche perché Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri hanno detto più volte di non aver ricevuto alcuna risposta dal ciclo di incontri sulle pensioni dello scorso anno, prevalentemente a livello tecnico.
Almeno per quanto riguarda i pensionamenti anticipati la riforma che verrà prenderà spunto dalle misure temporanee inserite nella legge di bilancio approvata a fine dicembre 2023 dal Parlamento. Che sostanzialmente vincolano al metodo contributivo tutti i canali di uscita anticipata, al netto dell’Ape sociale, che di fatto è un ammortizzatore e che ha comunque visto salire la soglia anagrafica. Proprio il “contributivo” diventerà il passaggio obbligato per tutte le vie di pensionamenti prima dei limiti di vecchiaia che dovrebbero essere il più possibile uniformate. Ma, come il governo ha ripetutamente fatto capire, la riforma guarderà anche ai lavoratori interamente contributivi (chi è in attività dal 1° gennaio 1996), a partire da quelli più giovani. Dopo l’accesso più agevolato alla pensione di vecchiaia previsto dall’ultima manovra, il governo cercherà di rendere maggiormente appetibile la previdenza integrativa, in primis per gli under 35, facendo leva sulle nuove agevolazioni fiscali (e non solo) che al momento della definizione della legge di bilancio per il 2024 sono rimaste in “stand by” a causa dei ristretti spazi di finanza pubblica a disposizione.
La Lega continua a insistere sull’adozione di Quota 41, la possibilità di uscita con 41 anni di versamenti a prescindere dall’età anagrafica. La questione sarà nuovamente affrontata al momento della riapertura del tavolo con le parti sociali. In ogni caso anche l’eventuale Quota 41 dovrà essere vincolata al metodo contributivo. E su questo punto il Carroccio non sembra opporsi.
I tempi per la realizzazione della riforma potrebbero non essere brevi. Dal prossimo Def, atteso come da tradizione ad aprile, potrebbero arrivare indicazioni attendibili. Se la riorganizzazione del sistema previdenziale dovesse slittare verso la fine della legislatura, il governo sarebbe comunque chiamato a fare i conti con l’incognita-2025: a decidere cioè che cosa fare il prossimo anno, visto che quelle adottate con l’ultima manovra sono sostanzialmente “misure-ponte”. Per i pensionamenti anticipati si porrebbe in particolare il problema se confermare Quota 103 nell’attuale formato (con il contributivo, “tetto” e finestre d’uscita dilatate) o se ricorrere a quella Quota 104 (63 anni d’età e 41 di versamenti) che era già comparsa nelle prime bozze dalla legge di bilancio per il 2024.
Marco Rogari
vicecaporedattore
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy