di Giorgio dell'Orefice
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Qualcosa sta cambiando, e in profondità, nell’universo della rappresentanza delle imprese agroalimentari italiane. E sta cambiando non solo in termini di schieramenti e di alleanze ma soprattutto in termini di logiche e strategie in base alle quali si punta in futuro a rappresentare e tutelare gli interessi.
Il punto dal quale partire è il forte indebolimento di due compagini che finora hanno rappresentato una importante fetta del mondo agroalimentare. Da un lato sembra giunta al capolinea l’esperienza di Agrinsieme che ha messo insieme con alterne fortune da un lato le organizzazioni agricole Confagricoltura, Cia e Copagri e dall’altro l’Alleanza delle cooperative italiane (nata a sua volta dall’aggregazione tra Legacoop agroalimentare, Confcooperative e Acgi) che, nonostante le rassicurazioni dei suoi vertici vede le sue componenti Legacoop agroalimentare da un lato e Confcooperative e Agci dall’altro sempre più intraprendere percorsi in direzioni diverse.
Complessivamente Agrinsieme tra organizzazioni agricole e cooperative ha finora rappresentato una larga fetta dell’agricoltura italiana visto che in questi ultimi anni ne è rimasta fuori solo la Coldiretti.
I primi smottamenti significativi si stanno registrando da qualche mese a questa parte proprio nell’anello agricolo dove Coldiretti e Confagricoltura appaiono sempre più su posizioni distanti mentre la Cia, che finora ha rappresentato una terza forza autonoma, sta sempre più subendo la forza di attrazione della Coldiretti. Qualcuno tra gli addetti ai lavori parla di una vera e propria Opa in corso dell’organizzazione guidata da Ettore Prandini (Coldiretti) su quella invece presieduta da Cristiano Fini (Cia).
Circostanza fermamente smentita da quest’ultimo anche se nell’ultimo scorcio del 2023 i due presidenti – cosa che non avveniva da anni – hanno preso parte alle rispettive assemblee. Tra l’altro all’ultima assemblea della Cia Agricoltori italiani, nella parte privata, è stata espressamente discussa l’ipotesi di un dialogo/avvicinamento con Coldiretti. Una prospettiva sonoramente bocciata dalla base anche se, in realtà, risultano tuttora in corso tanto il dialogo quanto la marcia di avvicinamento tanto che il capo di gabinetto della Cia-Agricoltori italiani, Gianni Razzano, negli ultimi mesi è stato avvistato con una certa frequenza negli uffici di Palazzo Rospigliosi, sede di Coldiretti.
La marcia di avvicinamento emerge inoltre anche da alcune posizioni maturate sul territorio come alla coop piacentina Terrepadane che dopo un lungo e aspro confronto nella base associativa (con improvviso cambio di posizione delle aziende targate Cia) sembra avviata a confluire in Consorzi Agrari d’Italia (organismo di diretta emanazione Coldiretti) o come in Puglia, dove nei giorni scorsi si è assistito al passaggio alla Cia, di un “pezzo da 90” della Confagricoltura al Sud come il Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli.
Altri movimenti “sospetti” sono stati registrati in alcune specifiche filiere come quella del biologico e della birra dove a una prima “campagna acquisti” effettuata da Coldiretti che ha associato aziende in precedenza targate Cia, è seguita in entrambi i settori una fase di composizione e di cogestione.
L’altro importante capitolo del riassetto in atto nel mondo della rappresentanza agroalimentare è poi quello legato alla cooperazione dove Legacoop, espressione di quelle che una volta erano le cooperative “rosse” (con forte radicamento in Emilia Romagna e Toscana) è sempre più vicina alla Coldiretti e distante invece da Confcooperative e Acgi che invece rappresentano rispettivamente l’universo coop del Nord e Nord-Est e del Centro-Sud.
Ma il punto di vera novità di questo riassetto organizzativo non risiede né negli schieramenti organizzativi né tantomeno nei loro riverberi territoriali. La sensazione, infatti, è che si sia dinanzi a un vero e proprio cambio di paradigma dove gli elementi guida non sono più di carattere politico o geografico ma sempre più di contenuto. E quindi in futuro, anche senza procedere a scissioni e rotture profonde, ma la reale rappresentatività del settore sembra destinata a essere esercitata da soggetti nuovi e diversi rispetto al passato.
Un processo nel quale il primo vero pilastro è stato il lancio da parte di Coldiretti di Filiera Italia. Una compagine che ha cominciato a mettere insieme su singoli progetti agricoltori e grandi brand dell’industria alimentare made in Italy. Due anelli che invece si sono storicamente fronteggiati anche in maniera aspra su temi come la definizione del prezzo delle materie prime. Col tempo invece si è affermata una logica di dialogo improntato allo sviluppo della filiera perché solo creando valore, in particolare grazie alla leva delle esportazioni, è possibile redistribuirlo remunerando i diversi anelli della filiera. È proprio per questo che Filiera Italia potrebbe presto, forse già nei prossimi giorni, essere seguita da altre iniziative di collaborazione tra agricoltura e industria.
«L’iniziativa di Filiera Italia nasce innanzitutto dal superamento del concetto di interprofessione – commenta il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – una parola in virtù della quale per anni si sono convocati tavoli con 40-50 partecipanti ai quali puntualmente non si decideva mai nulla. Noi abbiamo privilegiato invece i contenuti come quelli promossi nei contratti di filiera poi diventati un pilastro del Pnrr agricolo. Obiettivi precisi per creare valore da redistribuire tra i vari anelli. E per il futuro noi ci poniamo due obiettivi: la formazione (che non va vista come un costo ma come una leva di sviluppo) e l’export che invece è l’unica possibilità che abbiamo per valorizzare le nostre produzioni e creare marginalità. Su questi temi come sulla valorizzazione della materia prima agricola c’è sempre maggiore sintonia con il mondo industriale. Un punto di partenza chiave per affrontare la sfida dei mercati internazionali nella quale sarà sempre più importante avere una visione nazionale e non delegata alle regioni».
Giorgio dell’Orefice
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