di Francesca Cerati
4' di lettura
Intelligenza artificiale (Ai) in sanità. Stiamo andando nella giusta direzione? Per Alessandro Vespignani, docente di Fisica e Scienze della Salute alla Northeastern University, fondatore del Northeastern Network Science Institute di Boston e presidente della Fondazione Isi - il centro di eccellenza internazionale nel campo dei Sistemi complessi e dei dati - è sì necessario un bilancio dei pro e dei contro dell’Ai applicata alla sanità, ma con un approccio realistico, lontano dalla narrazione complottista o messianica che si è fatta fino adesso.
«Si sta sviluppando intorno all’Ai una specie di pensiero magico, per cui le macchine o ci salveranno da qualunque cosa o, all’estremo opposto, ci porteranno alla fine del mondo. Entrambi sono messaggi che ci allontanano dalla realtà. C’è una tecnologia che - ben lontana dall’acquisire il pensiero umano - contempla grandi benefici e grandi rischi che vanno però analizzati caso per caso. Il tema della trasparenza, per esempio, diventa fondamentale non per capire se siamo vicini alla macchina pensante, ma se quell’algoritmo è realmente preciso, se la percentuale di predizione è corretta, se funziona per tutte le popolazioni. Queste sono le domande che dobbiamo porci. Perchè l’Ai è uno strumento a supporto del medico che la sa usare, in quanto non fa delle previsioni deterministiche, cioè non dice “tu hai questa malattia”, ma si esprime in percentuali. E come tutti gli strumenti va regolamentato, caso per caso. In altre parole, le regole che valgono per il trasporto aereo non sono uguali a quelle del trasporto su ruota, lo stesso vale per l’Ai applicata in campo medico».
E qui si apre il tema cruciale della formazione
«Sì, ma anche in questo caso, rispetto alla narrazione corrente, il tema non è che l’Ai sostituirà il medico, ma impone una reinvenzione del mestiere del medico. E allora la domanda è: quanti medici sanno interagire con l’ai e offrono questo servizio? In questo caso, il vero rischio è che si creino bolle di eccellenza che diventano poi bolle di privilegio, piuttosto che un servizio accessibile a tutti. Stiamo andando in quella direzione? Il punto è che il settore salute ha già vissuto tante rivoluzioni e non è la prima volta che si è dovuto reinventare, ma tutto questo avveniva in tempi molto più lunghi. Adesso con l’Ai non parliamo più di decenni, ma di 1-3 anni, siamo in una fase di accelerazione esponenziale che è vissuta in una scala temporale che non ha precedenti. Quindi l’urgenza di rivedere la formazione è ora, tra 5 anni sarà tardi, e non possiamo creare un’altra generazione di medici incapaci di usare questi strumenti. E non si tratta solo della formazione del singolo individuo, ma dell’intero sistema. Come ci ha insegnato la pandemia: l’accesso al dato è dirimente quando parliamo di salute, senza piattaforme di accesso ai dati, con tutti i perimetri del caso, vuol dire perdere vite e non sfruttare i grandi benefici offerti da questa tecnologia».
E come cambia la salute pubblica?
«La salute pubblica ha vissuto fino a pochi anni fa di metodologie e tecnologie molto ben consolidate, ora però l’Ai sta rivoluzionando tutto perchè permette di monitorare la popolazione su grande scala e di associare i problemi di salute pubblica alla mobilità, agli orari e al luogo di lavoro, alla fascia economica, ecc, tutto questo a livello globale e in maniera capillare. Diventa quindi un altro modo di lavorare con la salute pubblica. Se a questo associamo la medicina personalizzata, ci troviamo di fronte a un enorme cambiamento che dalla salute pubblica al singolo paziente attiverà un diverso approccio alla cura e alla prevenzione. Ecco perché è importante uscire dagli slogan e capire che il tema non è solo sviluppare degli algoritmi funzionanti, ma come innestarli nella società con una classe medica formata per usarla».
E in tema di regolamentazione?
«L’Ai è transnazionale e quindi regolarla a livello nazionale è molto difficile. Detto questo, le linee guida che gli Stati propongono sono utili per arrivare a generare una visione che guiderà verso una regolamentazione dell’Ai a livello globale. Se invece continuiamo ad avere aree come negli Usa dove tutto avanza a velocità supersonica senza regolamentazioni contrapposta a un’Europa che pone cavilli e lacciuoli quello che si crea è un mondo dove si rischia di ledere la competitività e un divario di applicazioni. Invece, a mio avviso, dobbiamo arrivare a uno standard globale».
La Fondazione Isi di Torino, di cui Vespignani è presidente, coordina iniziative innovative nel campo della salute pubblica e della ricerca epidemiologica sia in Europa sia in Italia:
1. RespiCast: “Hub europeo per la previsione delle malattie respiratorie” che combina il contributo di diversi centri in Europa per la previsione di vari indicatori di malattie respiratorie, come influenza, infezioni respiratorie acute e indicatori relativi al Covid19. Questo strumento, in collaborazione con lo European Center for Disease Control, fornisce previsioni affidabili, supportando così la risposta sanitaria e la pianificazione.
2. InfluCast: Il primo hub italiano per previsioni epidemiologiche che aggrega le stime prodotte da diversi team di ricerca sui trend futuri dell’influenza stagionale, sia a livello nazionale che regionale, fondamentale nel comprendere e gestire l’influenza in Italia.
3. InfluWeb: è la piattaforma italiana di sorveglianza partecipativa che monitora l’influenza in tempo reale grazie al contributo di volontari della popolazione generale. Questo approccio innovativo permette di raccogliere dati preziosi per rispondere efficacemente alle epidemie influenzali. Coordinato dalla Fondazione Isi sin dal 2008, Influweb è un progetto pioneristico nel campo della raccolta dati digitale al servizio della salute.
Francesca Cerati
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy