di Nicola Desiderio
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Chi è capace di sconfiggere l'ansia da autonomia dell'auto elettrica può vincere sul mercato. Questa semplice equazione spiega, in buona parte, il successo di Tesla prima ancora dell'aggressiva politica dei prezzi che la casa di Palo Alto sta portando avanti su tutti mercati. E spiega perché Ford, General Motors, Mercedes-Benz, Polestar, Rivian e Volvo abbiano deciso di adottare la spina di tipo NACS (North American Charging Standard) per le auto elettriche che introdurranno sul mercato USA nel prossimo futuro, ovvero quella che Tesla aveva originariamente sviluppato per le proprie autovetture dal 2012 e della quale possiede ovviamente i brevetti.
Si tratta di un'altra vittoria per il costruttore di Elon Musk e di un importante punto di attenzione per lo sviluppo che avranno i sistemi di ricarica, non solo in un mercato che sta per spiccare il volo sulla mobilità elettrica sotto la spina impetuosa delle centinaia di miliardi messi sul piatto dall'amministrazione Biden con l'Inflaction Reduction Act. Perché anche case importanti come quelle – e ci sarebbero anche Volkswagen, Stellantis e Hyundai pronte a fare lo stesso passo – hanno scelto di mettersi nella mani di Tesla? Per due motivi pratici. Il primo è poter contare su una rete che negli Usa conta oltre 2mila stazioni per poco meno di 20mila spine ovvero oltre il 60% del totale, il secondo è avere un interlocutore unico che già serve centinaia di migliaia di clienti, con una massa critica che doppia di gran lunga tutto il resto dell'industria automobilistica.
Lo standard NACS può sopportare potenzialmente fino a 1.000 kW, più dei 350 kW dello standard globale CCS utilizzato in Europa, dei 180 kW del cinese GB/T e dei 400 kW del giapponese CHAdeMO di seconda generazione (la prima arriva a 62,5 kW). CCS e CHAdeMO permettono la ricarica bidirezionale (V2G) e l'alimentazione di dispositivi esterni (V2L), la GB/T non la contempla, la NACS solo in teoria, ma non attualmente. Gli istituti di standardizzazione di Cina (China Electric Council) e Giappone (CHAdeMO) hanno inoltre studiato uno standard comune denominato Chaoji che supporta fino a 900 kW e dovrebbe – teoricamente – diventare il riferimento per il mercato asiatico.
Chi vincerà a livello globale? L'esperienza insegna che spesso non è lo standard migliore a vincere. L'elettronica di consumo è piena di casi nei quali ciò che è tecnicamente superiore ha dovuto cedere il passo a qualcosa di inferiore per ragioni pratiche, economiche, industriali, commerciali ed anche politiche. E anche in questo caso il NACS potrebbe avere la stessa storia diventando il nuovo standard globale, partendo dal fatto che è quello utilizzato dalla maggior parte degli utenti di auto elettriche ed ha dalla sua l'indubbio vantaggio di essere più compatto, leggero e facile da utilizzare e, banalmente, quello utilizzato da più persone con soddisfazione. E lo farebbe proprio nel momento in cui la globalizzazione non sta bene, le lotte commerciali hanno ripreso fiato e il dominio della nuova industria dell'auto elettrica appare come il riflesso del ruolo strategico e geopolitico di una nazione.
Ed è anche l'espressione, per dirla con una parola che va di moda, di sovranità tecnologica. Se dunque i due maggiori costruttori USA tradizionali come Ford e GM si alleano con il numero uno della nuova generazione elettrica, non può non suonare come un campanello di allarme per l'industria e la politica a livello globale. Seguendo il denaro, abbiamo già una risposta. L'Inflaction Reduction Act mette sul piatto 7,5 miliardi di dollari per lo sviluppo della rete di ricarica e, secondo uno studio di Market Research Future il mercato dei connettori per auto elettriche crescerà tra il 2023 e il 2032 dai 28 miliardi di dollari attuali ad un tasso annuo medio del 18,7% sfiorando i 50 miliardi nel 2029. È dunque chiaro quello che è in gioco: non solo il dominio delle materie prime e delle forniture o quello del numero di auto vendute, ma anche lo sviluppo della rete effettiva di rifornimento che i clienti delle elettriche troveranno su strada attraverso i sistemi di bordo o le app sui loro smartphone.
Ma forse la partita più grossa è quella immateriale. Tesla infatti vince non soltanto per la quantità di supercharger e destination charger sul territorio, ma perché è più di una semplice rete di ricarica: è un ecosistema chiuso che funziona senza schede ed app – la vettura viene riconosciuta automaticamente non appena è inserita la spina – e dialoga perfettamente sia con le varie Model 3, Y ed S sia con i propri clienti indicando loro dove ricaricare e per quanto tempo, prenotando lo stallo, adattando la strategia di ricarica allo stato di salute della batteria e preimpostando la temperatura ideale ed infine gestendo il pagamento. Assicura in questo modo la migliore esperienza possibile al cliente e ne conosce vita, morte e ricariche. Di contro, le altre case devono rivolgersi a consorzi che riuniscono le centinaia di reti sul territorio, ma non riescono ancora ad offrire il plug&charge, se non in casi sporadici, e tutta la facilità di utilizzo che Tesla ha.
Il motivo principale è proprio la gestione delle informazioni relative al cliente. Il problema dell'utilizzo della rete dei supercharger permetterebbe a tutti i costruttori di offrire la stessa esperienza di ricarica offerta da Tesla, ma mette di fronte di fronte ad un problema: se il NACS dovesse vincere, tutte le preziosissime informazioni relative al cliente passerebbero dapprima dai server di Palo Alto. La questione è stata ovviamente posta a livello istituzionale dalla CharIN, la principale associazione americana di promozione dell'interoperabilità delle reti, e da Peter Rawlisons, ad di Lucid. E le preoccupazione riguarda gli stessi due temi: la spinta verso uno standard “locale”, che attirerebbe fondi statali e investimenti dirottandoli dal CCS, e la gestione dei dati che riguardano i clienti e, in definitiva, il denaro che essi pagano per rifornirsi.
Una partita decisiva guardando a quello che hanno rappresentato e rappresentano le aziende petrolifere nei processi di sviluppo e decisionali nel panorama economico, politico e sociale. Ed è anche evidente che il governo USA potrebbe cogliere la palla al balzo facendo di questa convergenza anche uno strumento di protezionismo e di supremazia tecnologica in questa delicatissima fase di transizione. Elon Musk del resto non è estraneo a questi giochi politici e per verificarlo basta vedere quello che sta facendo nel settore missilistico con SpaceX e nelle reti satellitari in orbita bassa a banda larga con Starlink. È vero che rappresentano intuizioni imprenditoriali pioneristiche, ma è altrettanto vero che sono strumenti di dominio troppo importanti perché, oltre a reazioni commerciali esterne ed interne, non attivino anche contromanovre politiche e strategiche.
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