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È l’impegno principale di chi governa, la missione decisiva per l’Italia: «Il problema cruciale rimane la riduzione del debito pubblico in rapporto al prodotto» dice Fabio Panetta, Governatore della Banca d’Italia, nel suo intervento al Meeting di Rimini .
Nei giorni che precedono l’avvio del lavoro del governo per disegnare la manovra 2025 (inoltre entro il 20 settembre deve essere presentato alla Ue il Piano strutturale di bilancio a medio termine secondo il nuovo Patto di Stabilità) Panetta rilancia il messaggio più forte per la gestione dei conti pubblici: «Un debito elevato rende più onerosi i finanziamenti alle imprese, frenandone la competitività e l’incentivo a investire; espone l’economia italiana ai movimenti erratici dei mercati finanziari. Sottrae risorse alle politiche anticicliche, agli interventi sociali e alle misure in favore dello sviluppo. L’Italia è l’unico paese dell’area dell’euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione».
Il governatore specifica che ha voluto evidenziare questo confronto tra spesa per interessi e quella per istruzione «perché è emblematico di come l’alto debito stia gravando sul futuro delle giovani generazioni, limitando le loro opportunità. Affrontare il nodo del debito richiede politiche di bilancio orientate alla stabilità e al graduale conseguimento di avanzi primari adeguati. Tuttavia, la riduzione del debito sarà ardua senza un’accelerazione dello sviluppo economico». Quindi «la strada maestra passa per una gestione prudente dei conti pubblici, affiancata da un deciso incremento della produttività e della crescita. Questo circolo virtuoso aumenterebbe significativamente le probabilità di successo e rafforzerebbe la credibilità delle nostre politiche, alleggerendo il peso della spesa per interessi».
L’intervento del governatore al Meeting è stato in larga concentrato sull’Europa, ma ricorda che «molte delle debolezze strutturali dell’economia europea si ritrovano nell’economia italiana. Nelle Considerazioni finali dello scorso maggio mi sono soffermato sui problemi strutturali che da un quarto di secolo frenano il nostro sviluppo: dalla bassa crescita all’insoddisfacente andamento degli investimenti, dalla stagnazione della produttività fino alla preoccupante prospettiva demografica. In quell’occasione non ho mancato di sottolineare i segnali di vitalità emersi negli anni successivi alla pandemia. Investimenti, occupazione e crescita hanno mostrato una ripresa, e le imprese italiane hanno dimostrato una capacità competitiva sui mercati internazionali che non va sottovalutata». Questi progressi – dice – «ci consentono di guardare al futuro con fiducia. Senza indulgere in eccessi di ottimismo, dobbiamo partire da essi per costruire uno sviluppo sostenuto, duraturo e inclusivo. La crescita resta l’obiettivo fondamentale per l’Italia, ma per ottenerla dobbiamo affrontare con decisione i problemi strutturali irrisolti. Dobbiamo concentrarci sulle finalità essenziali: rafforzare la concorrenza, potenziare il capitale umano, accrescere la produttività del lavoro, aumentare l’occupazione di giovani e donne, definire politiche migratorie adeguate».
Allargando lo sguardo «per superare le sue debolezze e tenere il passo con il progresso a livello mondiale, l’Unione europea dovrà avviare riforme profonde ed effettuare investimenti ingenti nei prossimi anni. Tra le riforme, ho già sottolineato l’importanza di creare una capacità fiscale comune, senza la quale l’attuale governance europea – caratterizzata da una politica monetaria unica e da politiche di bilancio frammentate a livello nazionale – rimane squilibrata. L’idea che la UEM possa funzionare efficacemente senza una capacità fiscale centralizzata è semplicemente un’illusione, e va superata. Una politica fiscale comune correggerebbe questo squilibrio e rafforzerebbe la coesione tra paesi membri, facilitando la realizzazione di investimenti strategici su larga scala».
Inoltre Panetta richiama altre riforme necessarie per la competitività dell’economia europea: allargamento del mercato unico ai settori oggi esclusi, come le telecomunicazioni e l’energia, al fine di stimolare concorrenza ed efficienza; la realizzazione di un ambiente normativo favorevole all’attività imprenditoriale, che possa attrarre investimenti privati e incentivare l’innovazione; il potenziamento dei legami tra il mondo accademico e il sistema produttivo, al fine di trasformare i risultati della ricerca in prodotti e servizi competitivi sul mercato globale. «Anche sul fronte dei mercati finanziari, nel quale l’integrazione è molto avanzata, da anni mancano progressi significativi verso il completamento dell’Unione bancaria e la realizzazione di un mercato unico dei capitali. Quanto agli investimenti, i leader europei hanno già individuato i settori chiave su cui concentrare l’impegno: la doppia transizione – ambientale e digitale – e comparti strategici come l’alimentare, l’energia, la sanità e la difesa, nei quali è necessario ridurre la dipendenza dall’estero».
Il Governatore torna poi sul tema della demografia: ricorda che le proiezioni indicano che nei prossimi decenni si ridurrà il numero di cittadini europei in età da lavoro e aumenterà il numero degli anziani. «Questa dinamica rischia di avere effetti negativi sulla tenuta dei sistemi pensionistici, sul sistema sanitario, sulla propensione a intraprendere e a innovare, sulla sostenibilità dei debiti pubblici. Per contrastare questi effetti, è essenziale rafforzare il capitale umano e aumentare l’occupazione di giovani e donne, in particolare nei paesi – tra cui l’Italia – dove i divari di partecipazione al mercato del lavoro per genere ed età sono ancora troppo ampi. Anche misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari costituiscono una risposta razionale sul piano economico, indipendentemente da valutazioni di altra natura. L’ingresso di immigrati regolari andrà gestito in maniera coordinata all’interno dell’Unione, bilanciando le esigenze produttive con gli equilibri sociali e rafforzando l’integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavoro. Anche con più occupazione e più lavoratori stranieri, il contributo del lavoro alla crescita sarà però contenuto. Solo una maggiore produttività – cioè un incremento del prodotto per ora lavorata – potrà assicurare sviluppo e redditi elevati. Tuttavia, in Europa la produttività cresce lentamente: negli ultimi due decenni abbiamo accumulato un ritardo di 20 punti percentuali rispetto agli Stati Uniti, principalmente a causa della difficoltà che le imprese europee incontrano nell’utilizzare nuove tecnologie nel processo produttivo».
In Europa «un banco di prova per la nuova legislatura europea sarà la capacità di confermare il ricorso a progetti di spesa comuni e di avanzare verso un’unione più completa e più integrata sul piano sia finanziario sia fiscale. Poiché il programma NGEU terminerà nel 2026, un orizzonte non lontano, è necessario avviare una riflessione sui prossimi passi. Il disegno e la portata dei programmi futuri dipenderanno in larga parte dal successo di quelli in corso, in particolare dalla capacità dei singoli paesi di utilizzare proficuamente i fondi messi a disposizione dai rispettivi piani di ripresa e resilienza. In secondo luogo, è indispensabile rilanciare la crescita, non solo per garantire il benessere dei cittadini, ma anche per continuare a contare nel mondo. Vent’anni fa sia la UE sia gli Stati Uniti producevano un quarto del reddito mondiale; da allora il peso della UE è sceso al 18 per cento mentre quello degli Stati Uniti è rimasto invariato». Insomma, «il rafforzamento dell’economia europea deve avvenire su più dimensioni: riequilibrando la sua dipendenza dalla domanda estera e valorizzando il mercato unico; rendendola più competitiva; ponendola all’avanguardia in campo tecnologico ed energetico; mettendola in grado di provvedere alla propria sicurezza esterna».
Inoltre Panetta torna sul tema dell’innovazione e sulla la frammentazione delle attività di ricerca e sviluppo e la scarsa integrazione tra il mondo scientifico e quello delle imprese. «L’industria europea è intrappolata in settori a tecnologia intermedia e poco presente in quelli alla frontiera, nonostante l’eccellenza della ricerca condotta nei singoli paesi. Il caso dell’intelligenza artificiale (IA) è emblematico. Sebbene in questo campo le università europee producano ricerca di qualità, le aziende continentali hanno una presenza trascurabile nello sviluppo della tecnologia: tra il 2013 e il 2023, gli investimenti privati nel campo dell’IA sono stati 20 miliardi di dollari in Europa, contro 330 negli Stati Uniti e 100 in Cina». Quindi risulta evidente, per motivi sia economici sia strategici, «che l’Europa non può limitarsi a essere un semplice utilizzatore della tecnologia. Deve ambire a un ruolo attivo nella sua produzione. Una presenza significativa dell’Europa in questo settore – oggi dominato da pochi giganti tecnologici globali – accrescerebbe la concorrenza e determinerebbe benefici che oltrepassano la dimensione produttiva e riguardano i diritti essenziali dei cittadini, quali la tutela dei dati personali e il pluralismo nel settore dell’informazione».
Carlo Marroni
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