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La corsa agli acquisti di materie prime (oro, argento e rame) mette ora in dubbio la sconfitta dell’inflazione

di Vito Lops

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La corsa agli acquisti di materie prime (oro, argento e rame) mette ora in dubbio la sconfitta dell’inflazione

La corsa agli acquisti di materie prime (oro, argento e rame) mette ora in dubbio la sconfitta dell’inflazione

4 aprile 2024
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3' di lettura

Se la battaglia all’inflazione può dirsi conclusa come mai i prezzi delle materie prime stanno salendo da circa due mesi? Come mai l’oro è prossimo ai 2.300 dollari (+10,8% da inizio anno), l’argento ha superato i 26,6 dollari (+12%), il rame la soglia dei 4,2 dollari (+7%) e il petrolio qualità Wti gli 85 dollari (+19%)? È una domanda che un investitore a questo punto dovrebbe porsi. E dovrebbero porsela anche il Tesoro statunitense e le banche centrali.

Inflazione attesa rivista al rialzo

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Nell’ultimo documento di programmazione economica i membri della Federal Reserve hanno alzato le stime di inflazione attesa per fine anno: il calcolo della personal consumption expenditures (misura che la Fed preferisce al consumer price index in quanto il paniere utilizzato è dinamico e quindi più in grado di intercettare i cambiamenti delle scelte dei consumatori) è stato rivisto al rialzo nella versione core (depurata cioè dagli elementi più volatili come cibo ed energia) dal 2,4% al 2,6%. L’ultimo dato rilevato, relativo al mese di febbraio, si è attestato al 2,8%. Siamo ancora lontani dalla soglia del 2%, target delle principali banche centrali. Siamo arrivati all’ultimo miglio, quello più difficile. Ma proprio nel compimento di questo ultimo sforzo il movimento delle materie prime, in un certo senso, sta suonando l’allarme.

«Nell’ultimo mese in particolare c’è stata una svolta decisa al rialzo del settore delle commodities che sono le “sentinelle” che ci avvisano del surriscaldamento dell’inflazione - spiega Stefano Bottaioli, consulente indipendente e responsabile territoriale di una private bank -. Il movimento dell’oro non è casuale perché storicamente, in un ambiente di reflazione o stagflazione, tende ad anticipare di 18/22 mesi il movimento sui tassi. Non si stanno muovendo solo le materie prime come i metalli o il petrolio ma anche le soft commodities che hanno anch’esse la caratteristica di “anticipare” un rialzo dell’inflazione di 3 mesi. Il rischio che molti temono - conclude Bottaioli - è il dipanarsi di uno scenario simile a quello degli anni ‘70/’80’ che vide – dopo una prima ondata rialzista ed una fase calante una ripartenza dell’inflazione che in termini temporali assomiglia molto alla fase attuale. Occorre peraltro notare che il lungo ciclo delle commodities (che dura mediamente 15 anni) sembra iniziato nel 2023. Un investitore deve pertanto avere nel proprio portafoglio queste “sentinelle” per difendersi da un surriscaldamento che – se sfugge di mano alla Fed – rischia davvero di fare molto male a chi ne fosse sprovvisto. È infatti da sottolineare come in questo momento sia estremamente bassa la percentuale di investimenti nelle materie prime rispetto ai bonds, situazione vista solo sui minimi del 2008».

Dubbi del mercato sugli spazi di manovra di Powell

Dicevamo che, oltre agli investitori, la domanda sul movimento delle materie prime dovrebbe porsela anche il Tesoro americano. Perché sta spendendo come non mai in tempi di pace. Dopo aver archiviato il 2022 con un deficit/Pil al 5,8% sta viaggiando in questo primo scorcio del 2024 elettorale oltre il 6% annualizzato. Prima d’ora nella storia statunitense non era mai stato generato un deficit di questa portata in presenza di un tasso di disoccupazione basso (3,9%). È evidente quindi che una buona parte della crescita economica americana (le prospettive sul Pil per l’anno in corso sono state riviste al rialzo dall’1,4% al 2,1%) è sostenuta da un deficit eccessivo, quasi il doppio del 3,6% dell’area euro. Un deficit che però, rischia di riaccendere la miccia dell’inflazione prima ancora che la Fed abbia iniziato a tagliare i tassi. Proprio su questo fronte il mercato inizia ad avere seri dubbi sugli spazi di manovra del governatore Jerome Powell. A inizio anno scontava 6-7 tagli nel 2024. Ora ne sconta 2-3. E c’è chi inizia a dubitare della prima sforbiciata attesa per l’estate. Il presidente della Fed di Atlanta, Raphael Bostic, ha riferito ieri alla Cnbc che si aspetta solo un taglio per l’ultimo trimestre dell’anno. Questo clima sta innervosendo il mercato obbligazionario. I rendimenti dei bond stanno nuovamente salendo: i decennali Usa ieri sono tornati al 4,4%, facendo registrare un aumento di 60 punti base rispetti al 3,8% di inizio febbraio. I titoli a 2 anni si sono riportati al 4,75%, lo stesso livello dello scorso ottobre. Questo movimento sta rimbalzando anche sui tassi dell’area euro dove l’economia procede più adagio (si stima una crescita non superiore all’1% per quest’anno) ma l’inflazione non è ancora del tutto sotto controllo: proprio ieri il dato “core” relativo al mese di marzo è stato “stampato” al 2,9%, in calo rispetto al 3,1% precedente ma ancora lontano dall’obiettivo della Bce.

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