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«Non dovrebbe essere un impedimento per una donna avere dei figli». Lo dice Valentina di Bari che non è più riuscita a lavorare dopo la nascita dei suoi bambini. Purtroppo ancora troppo spesso in Italia le mamme devono essere delle vere e proprie equilibriste per avere figli e continuare a lavorare. In Italia una lavoratrice su cinque esce dal mercato del lavoro dopo essere diventata mamma e il 72,8% delle convalide di dimissioni di neogenitori riguarda le donne. Scende ancora il numero medio di figli per donna e l’Italia si conferma come uno dei Paesi europei con la più alta età media delle donne al parto: 32,5 anni. I dati emergono dal rapporto di Save the children “Le Equilibriste - La maternità in Italia 2024”, giunto alla nona edizione.
Il report racconta quanto è ancora forte lo sbilanciamento tra carichi di cura e vita professionale, fra i sistemi di sostegno alla genitorialità nel nostro e in altri Paesi europei. Narra le difficoltà di accesso al mondo del lavoro solo perché “mamme”. Il 2023 ha segnato un nuovo minimo storico delle nascite in Italia, ormai stabilmente ferme sotto le400mila unità, con un calo del 3,6% rispetto all’anno precedente. Fra i 15 e i 49 anni il numero medio di figli per donna è di 1,20, in flessione rispetto al 2022 quando si attestava a 1,24. Lontanissimo rispetto al dato 2010, che h registrato il massimo dell’ultimo ventennio nella media di figli per donna: 1,44. E la contrazione della natalità che accompagna l’Italia da decenni, ormai coinvolge anche la popolazione straniera (nel 2023 meno 3mila nati rispetto all’anno precedente).
Anche guardando ai dati delle dimissioni volontarie post genitorialità è evidente come la nascita di un figlio influisca sulla disparità di genere nel mondo del lavoro. A dimettersi sono principalmente le mamme al primo figlio ed entro il suo primo anno di vita. Nel corso del 2022 sono state effettuate complessivamente 61.391 convalide di dimissioni volontarie per genitori di figli in età 0-3 in tutto il territorio nazionale, in crescita del 17,1% rispetto all’anno precedente. Il 72,8% del totale (pari a 44.699) riguarda donne, mentre il 27,2% riguarda uomini (pari a16.692), con una crescita maggiore di quelle femminili rispetto all’anno precedente. Anche quest’anno nelle motivazioni tra uomini e donne per le convalide, emerge una differenza significativa. Per le donne, infatti, quella principale è la difficoltà nel conciliare lavoro e cura del bambino/a: il 41,7% ha attribuito questa difficoltà alla mancanza di servizi di assistenza, mentre il 21,9% ha indicato problematiche legate all’organizzazione del lavoro. «Complessivamente, le sfide legate alla cura rappresentano il 63,6% di tutte le motivazioni di convalida fornite dalle lavoratrici madri», sottolinea il report. Per gli uomini, invece, la motivazione predominante è di natura professionale: il 78,9% ha dichiarato che la fine del rapporto di lavoro è stata dovuta a un cambio di azienda e solo il 7,1% ha riportato esigenze di cura dei figli.
Il report ricorda che l’Italia è il Paese europeo con la più alta età media delle donne al momento della nascita del primo figlio (31,6 anni), con una percentuale rilevante di primi nati da mamme over 40 (8,9%, tasso inferiore solo a quello della Spagna). L’età media delle madri al parto rimane quasi invariata rispetto all’anno precedente (32,5 anni nel 2023 e 32,4 nel 2022).
Rinvio della maternità e bassa fecondità sono frutto di varie concause e i dati rivelano che più aumenta la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, più aumenta il tasso di fecondità, un dato rilevante in un mercato del lavoro che sconta ancora un gap di genere fortissimo. In Italia il tasso di occupazione femminile (età 15-64 anni) è stato del 52,5% nel 2023, un valore più basso di 13 punti percentuali rispetto alla media dell’Unione Europea (65,8%). «La differenza tra il tasso di occupazione degli uomini e delle donne nel nostro Paese, nello stesso anno, era di 17,9 punti percentuali, ben più marcata rispetto alle differenze osservate a livello Eu27 (9,4 punti percentuali) e seconda, di pochissimo, solo alla Grecia, dove la differenza è di 18 punti percentuali. Per le donne, il tema del bilanciamento tra lavoro e famiglia rimane critico per chi nella propria famiglia svolge un lavoro di cura non retribuito», si legge nel report.
La difficoltà delle mamme nel conciliare impegni familiari e lavorativi emerge chiaramente dal numero di donne occupate di età compresa tra i 25 e i 54 anni: a fronte di un tasso di occupazione femminile del 63,8%, le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, mentre solo poco più della metà di quelle con due o più figli minori ha un impiego (57,8%). Invece per gli uomini della stessa età, il tasso di occupazione totale è dell’83,7%, con una variazione che va dal 77,3% per chi è senza figli, fino al 91,3% per chi ha un figlio minore e al 91,6% per chi ne ha due o più.
Forti le disparità territoriali, a danno delle regioni del Sud d’Italia: lì per le donne l’occupazione si ferma al 48,9% per chi è senza figli (sono il 79,8% al nord e 74,4% al centro) e scende al 42% con figli minori arrivando al 40% per le donne con due o più figli minori (al nord sono il 73,2% e al centro 68,3%). Stesse disparità anche per gli uomini, ma con valori ben diversi: nel meridione gli uomini senza figli occupati arrivano al 61,5% (sono 86,7% al Nord e 81,3%, al Centro), mentre quelli con figli minori raggiungono l’82,8% (96,7% al Nord e 94,5% al Centro).
É forte il divario tra le regioni e province auronome più o meno “mother friendly” nella classifica elaborata in esclusiva dall’Istat. Ai primi posti la Provincia Autonoma di Bolzano, l’Emilia-Romagna e la Toscana, fanalino di coda la Basilicata. Per redigere l’Indice delle madri per regione sono state analizzate sette dimensioni: Demografia, Lavoro, Rappresentanza, Salute, Servizi, Soddisfazione soggettiva e Violenza, per un
totale di 14 indicatori da diverse fonti del sistema statistico nazionale. Il valore di riferimento dell’Indice delle Madri è pari a 100. Rispetto ad esso, i valori superiori
rappresentano un territorio più favorevole per le mamme; al contrario, i valori inferiori mostrano un territorio meno “friendly” nei loro confronti. Fra le regioni più “amiche delle mamme”, spiccano ai primi posti dell’Indice generale la Provincia Autonoma di Bolzano (115,255), l’Emilia-Romagna (110,530), rispettivamente nella prima e nella seconda posizione dell’elenco. Subito dietro la Toscana, che rispetto alla scorsa edizione guadagna una posizione (109,239) e si attesta al terzo posto.
Mezzogiorno fa Nonostante i miglioramenti le regioni del Mezzogiorno, continuano a posizionarsi tutte al di sotto del valore di riferimento italiano, con alcune particolarmente lontane dalla quota 100. Calabria (92,671), Puglia (92,085), Sicilia (91,050), Campania (89,474) e Basilicata (87,441), fanalino di coda. Rispetto allo scorso anno cambio di posizioni tra la Puglia (18°) che perde una posizione e la Calabria (17°) che la guadagna. Regioni, spiega il report, «che scontano i mancati investimenti sul territorio che si traducono in una carenza strutturale di servizi e lavoro». Tra le Regioni che più sono migliorate rispetto all’anno precedente, il Lazio che passa dal 13° all’8° posto guadagnando 5 posizioni e la Lombardia che dall’8° si attesta al 4°.
Nicoletta Cottone
Caporedattore
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