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Bce, perché i tassi potrebbero ancora salire

di Riccardo Sorrentino

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La presidente della Bce Christine Lagarde

La presidente della Bce Christine Lagarde

Quasi certo un rialzo di 25 punti base, ma la stretta non è finita: l’unico dubbio riguarda quali indicazioni saranno fornite sui prossimi passi

26 luglio 2023
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3' di lettura

Un altro rialzo, e poi? La Banca centrale europea, utilizzando una forma di forward guidance di brevissimo periodo, ha già annunciato un rialzo dei tassi nella sua riunione di luglio. Il costo del credito di riferimento dovrebbe così salire al 4,25%. È probabile però che il consiglio direttivo indichi la volontà di aumentare ulteriormente i tassi. Non necessariamente alla successiva riunione, ma comunque in un tempo relativamente ristretto.

Inflazione ancora elevata

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L'inflazione resta alta, malgrado qualche segnale di miglioramento. Il calo dell'indice complessivo risente del confronto dei prezzi dell'energia di oggi con quelli di un anno fa, sicuramente più elevati per fattori esogeni come l'invasione dell'Ucraina. L'indice core scende, ma a ritmi troppo lenti perché la Bce possa convincersi di dover aspettare gli effetti di quanto fatto finora.

La corsa di salari e profitti

Le aspettative di inflazione sembrano sotto controllo, ma è una fase, questa, che non permette di guardare a questo indicatore come a un punto di riferimento rilevante, come ha ben spiegato nel suo ultimo rapporto – per tutte le banche centrali – la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea: a condurre il gioco è la competizione tra profitti e salari e non a caso la Bce ha da tempo richiamato l'attenzione sulla necessità di moderazione per entrambi. Allo stesso tempo, in assenza di un indice sintetico sulle condizioni finanziarie – come quello elaborato dalla Fed di Chicago per gli Stati Uniti – è difficile capire quanta parte della stretta si sia finora trasmessa a tutta l'economia.

L’euro sopra la media di lungo periodo

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Una versione semplice, da libro di testo, delle condizioni finanziarie mostra che non tutto va nel verso giusto. È vero, il cambio effettivo dell'euro è rapidamente salito, ha superato la media di lungo periodo che è un indicatore semplice, naif, del valore di equilibrio. È un buon segnale, anche se non legato alla sola politica monetaria dell'eurozona. Soprattutto, il cambio effettivo ha un peso relativamente limitato sulle condizioni finanziari. I rendimenti hanno il peso preponderante, e non sembrano aver compreso la determinazione della Bce: sono più bassi oggi che poche settimane fa, anche in quella parte brevissima della curva che esprime e realizza, al tempo stesso la politica monetaria.

Costo del credito in rialzo (soprattutto in Italia)

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È vero che il costo del credito è aumentato dappertutto. Resta lontano dai massimi, relativi a periodi in cui l'inflazione era decisamente più bassa, ma ha immediatamente registrato la stretta. In alcuni Paesi più che in altri. L'Italia, per esempio, ha a lungo goduto di tassi creditizi relativamente bassi, addirittura inferiori, un anno fa a quelli della Francia. Oggi, invece, ha un costo del credito che è il più alto, tra quelli delle grandi economia dell'Eurozona: elemento questo che spiega l'allarme delle imprese e del governo su una politica monetaria che altrove non è così incisiva.

Prestiti ancora in rapida crescita

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I prestiti continuano inoltre a crescere. Rallentano ancora, ma l'incremento annuo è ancora pari al 3%: prima della pandemia oscillava intorno al due per cento, che è anche la media di lungo periodo. Malgrado segnali precisi di un irrigidimento degli standard creditizi, i dati – fermi però a maggio – non segnalano una stretta che morda davvero.

Domanda ancora molto forte

La domanda, insomma resta alta: i governi sono molto generosi, i salari crescono più della produttività e i salari negoziati – che in alcuni Paesi sono un benchmark per tutto il costo del lavoro – continuano a salire. È una situazione che non può lasciare tranquilla la Banca centrale europea. Non è tanto una questione di scontro ideologico tra “falchi” e “colombe” – pesa piuttosto la situazione dei singoli paesi e la loro rapidità di reazione alla stretta – quanto quella di una oggettiva incertezza sulla capacità di quanto fatto finora di incidere sull'inflazione. Nella storia, ormai non più breve, di Eurolandia i tassi di interesse ufficiali sono arrivati al 4,75%, nel 2000, in una situazione ben più tranquilla sul fronte della dinamica dei prezzi.

La Bce non può fare da sola

La lotta al caro vita impone una collaborazione tra diversi agenti: politici, come la banca centrale e i governi, ma anche di mercato, come imprese e lavoratori. Nessuno può farcela da solo e, al momento, solo la Bce si è mossa in questa direzione. Fin quando gli altri mancheranno all'appello, la politica monetaria dovrà fare di più.

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