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Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale numero 39 del 16 febbraio 2024 del decreto 1563 si conclude l’iter avviato con la legge 3/2018 – la cosiddetta legge Lorenzin – che aveva istituito, anche tramite il successivo Dpr 131 del 7 luglio 2021, l’osteopatia come professione sanitaria. Ci sono, quindi, voluti sei anni per arrivare a definire l’ordinamento didattico del corso di laurea in osteopatia tramite il decreto interministeriale (1563 del 1° dicembre 2023), firmato dai ministeri dell’Università e della Ricerca e della Salute, che aggiorna gli obiettivi formativi qualificanti della classe delle lauree in professioni sanitarie della prevenzione (L/SNT/4).
La nuova norma specifica che «nell’ambito della professione sanitaria dell’osteopata, il laureato è quel professionista sanitario che svolge interventi di prevenzione e mantenimento della salute attraverso il trattamento osteopatico di disfunzioni somatiche non riconducibili a patologie nell’ambito dell’apparato muscolo scheletrico». Nel dettaglio, chi conseguirà il titolo accademico in osteopatia potrà pianificare «il trattamento selezionando approcci e tecniche esclusivamente manuali, non invasive, ed esterne, adeguate al paziente», eseguendole «in sicurezza e nel rispetto della dignità e della sensibilità del paziente», valutandone «gli esiti».
Spetta ora alle università avviare i corsi di laurea con i piani formativi indicati dal Ministero, ricordando che l’osteopatia, in grado di rivolgersi anche ad anziani e bambini, è stata inserita nell’area della promozione e della prevenzione della salute.
«Ci aspettiamo che succeda in tempi brevi», commenta Paola Sciomachen, presidente presidente del Registro degli osteopati d’Italia, l’associazione di riferimento del settore che conta 5.000 iscritti (si stima che gli osteopati in Italia siano circa 12mila). «Si concretizzerà così il passaggio dalla formazione attuale, fornita da scuole private che negli anni hanno adeguato l’offerta formativa agli standard internazionali (indicazioni Oms, norma Cen) e da tirocini clinici obbligatori, alla laurea a tutti gli effetti».
Si attende ora un ultimo decreto che affronti il tema delle equipollenze per regolarizzare la situazione attuale degli osteopati e permettere l’iscrizione all’Albo degli osteopati che sarà all’interno del maxi ordine delle professioni sanitarie (Fno Tsrm-Pstrp). «Il passaggio delle equipolenze permetterà di valutare il percorso di studi effettuato per vedere se è equipollente al futuro corso di laurea e se saranno necessari percorsi integrativi», chiarisce Sciomachen.
Il riconoscimento dell’osteopatia come professione sanitaria e come percorso di studi di laurea è stato ostacolato un po’ dalla burocrazia e dai cambi di Governo, un po’ dall’atteggiamento scettico e poco collaborativo di altre professioni sanitarie che non hanno visto di buon occhio questa evoluzione. «Il riconoscimento della professione sanitaria ha aiutato a mettere ordine, anche nella comunicazione ai cittadini, e a chiarire il ruolo di ogni profilo professionale», aggiunge Sciomachen che sottolinea come negli anni sia cresciuto l’interesse da parte della popolazione a usufruire dei servizi offerti dall’osteopata. «Si è probabilmente data risposta a un bisogno, si è colmato un vuoto, con un approccio clinico che mette al centro la persona con le sue necessità, piuttosto che il sintomo specifico, cercando di stabilire un equilibrio per creare un potenziale di salute maggiore. Da sola, ovviamente l’osteopatia», conclude Sciomachen «non risolve tutti i problemi, ma in un contesto di collaborazione con le altre professionalità sanitarie può offrire un valido contributo».
Insieme al Regno Unito e alla Francia, i Paesi che per primi diffusero l’osteopatia in Europa nella prima metà del Novecento, anche l’Italia ha svolto il suo ruolo di rilievo. Nel 1982 Eddy Deforest, osteopata belga formatosi a Parigi, si stabilisce in Italia e, dopo due anni, fonda a Milano la prima scuola di osteopatia italiana. Nel 1988, con una sentenza del Tar del Lazio, l’Italia riconosce il titolo di studio di osteopatia conseguito in Gran Bretagna; l’anno successivo nasce la prima associaizone italiana dedicata all’osteopatia, il Registro degli Osteopati d’Italia. Nel 1993 nasce la prima scuola italiana, l’Istituto Superiore di Osteopatia, che avvia un corso quinquennale per la formazione osteopatica a tempo pieno con tirocinio.
Nel 2015 viene pubblicata la norma Cen, un documento condiviso dalle maggiori associazioni europee che rappresenta un passo avanti verso l’allineamento a standard internazionali di qualità nella formazione e nell’esercizio della professione, utile base di riferimento per il processo di riconoscimento della professione nei diversi Paesi europei. A fine dicembre 2017 viene approvato il ddl Lorenzin (legge 3/2018) che individua anche in Italia l’osteopatia come professione sanitaria. Il 24 giugno 2021 il Dpr 131 recepisce l’accordo sul profilo professionale sancito a novembre 2020 tra Governo, Regioni e Province autonome, gettando le basi necessarie per la definizione del percorso di formazione e delle relative equipollenze.
In Europa la disciplina si diffonde in modo non uniforme a partire dal Regno Unito dove sbarca nel 1911 con la fondazione della British Osteopathic Association. Nel 1993 la professione viene riconosciuta legalmente e inserita nel Sistema sanitario anglosassone e nel 1998 viene costituito il General Osteopathic Council, organo predisposto alla tutela degli standard formativi, dello sviluppo professionale e della sicurezza dell’utenza. Il numero di Paesi europei in cui l’osteopatia è riconosciuta è in crescita. Oggi l’osteopatia è regolamentata in Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Islanda, Lichtenstein, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Russia, Svizzera, Turchia. In particolare, in Danimarca, Gran Bretagna, Lussemburgo, Svizzera, a Malta e in Islanda l’osteopatia è una professione sanitaria. Nei Paesi, in cui non è ancora stata regolamentata, gli standard di riferimento per la definizione di un quadro normativo sono quelli definiti dalla norma Cen.
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