Norme e Tributi
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Revenge porn, gli stop decisi dal Garante quintuplicati nel 2023

di Bianca Lucia Mazzei

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Aumentano i provvedimenti dell’Authority per la privacy che bloccano la diffusione online di immagini sessuali per vendetta, invidia o ricatto

21 dicembre 2023
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4' di lettura

Sono più che quintuplicati i provvedimenti adottati dal Garante privacy per bloccare in via preventiva la diffusione, tramite piattaforme digitali e senza l’assenso dell’interessato, di immagini o video sessualmente espliciti, come avviene con i reati di revenge porn in cui la motivazione è la vendetta e di sextortion che punta invece sull’estorsione di denaro. Nei primi undici mesi di quest’anno gli interventi sono stati 264 contro i 51 dell’intero 2022,mentre le segnalazioni delle vittime sono più che triplicate.

Ma ad aumentare sono anche i casi trattati dalla polizia postale dopo la commissione del reato e la denuncia. In particolare quelli di sextortion che, sempre nei primi undici mesi del 2023, sono già stati il 29% in più di quelli del 2022. Crescita più lieve invece per il revenge porn: fino a novembre i casi trattati erano 259, mentre nel 2022 erano stati 245. L’incremento è dovuto soprattutto all’aumento delle vittime maschili, che quest’anno rappresentano il 29% del totale contro il 21-22% degli anni precedenti. Il revenge porn ossia la diffusione non consentita di immagini o video per vendetta (spesso da parte degli ex), ma anche per invidia o rivalità, è comunque un reato commesso principalmente contro le donne. Invece, nella sextortion dove vengono chiesti soldi o altro per non diffondere i contenuti di carattere sessuale, i danneggiati sono in gran parte uomini.

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L’elemento comune è però il grave danno alla vita privata e pubblica delle vittime e le difficoltà a denunciare causate da vergogna e paura.

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L’intervento preventivo

A fine 2021 il Dl n.139, attribuì al Garante privacy la possibilità di interventire in modo preventivo su tutte le piattaforme digitali (nel 2021 il Garante aveva già avviato un canale per le segnalazioni d’urgenza ma in collaborazione solo con Facebook).

Chiunque (anche i minori con più di 14 anni) può quindi chiedere l’intervento del Garante se teme che immagini sessualmente esplicite possano essere cedute, inviate o diffuse attraverso piattaforme digitali senza il suo consenso. E il numero delle segnalazioni è fortemente cresciuto da quando, a febbraio 2023, è stata attivata la trasmissione online (https://servizi.gpdp.it/diritti/s/revenge-porn-scelta-auth). Le richieste riguardano revenge porn, sextortion e in generale tutte le situazioni in cui immagini o video di carattere sessuale destinati a rimanere privati vengano trasmessi o diffusi. Le immagini possono essere state acquisite con il consenso dell’interessato o senza, come avviene nei molti casi di furti di identità volti alla creazione di falsi profili poi diffusi su siti porno o con il montaggio di volti carpiti sulla rete e montati all’interno di video porno.

Dopo aver effettuato un’istruttoria (a volte le segnalazioni sono generiche o fuori dal campo di applicazione della norma), il Garante acquisisce dalle potenziali vittime i filmati o le immagini, li trasforma in codici alfanumerici per renderli irriconoscibili e ingiunge a social e piattaforme di bloccarli. Il Garante può intervenire anche dopo la diffusione delle immagini e dal 2020 ci sono state circa 50 richieste.

La polizia postale

La denuncia alla polizia postale scatta quando ci sono condotte penalmente rilevanti come minacce o richieste estorsive o quando la pubblicazione dei contenuti sessuali è già avvenuta (la tutela chiesta al Garante non esclude però in alcun modo la possibilità di rivolgersi alla polizia postale e viceversa).

Nei primi undici mesi del 2023 a crescere sono stati in particolare i casi di sextortion, saliti a 1.384 contro i 1074 del 2022 (+ 29%). Ma, a preoccupare, è soprattutto il fatto che quasi il 10% delle vittime sono minori (132), di cui 20 sotto i quattordici anni.

La sextortion è un reato che colpisce soprattutto i maschi (circa l’85%): spesso tutto parte da chat o messaggi “amichevoli”, ma che sono veri e propri adescamenti, in cui ci si scambia apprezzamenti e like per le immagini pubblicate. Poi si passa a videochat e a richieste di immagini più intime che, una volta acquisite, fanno scattare il ricatto: o si accetta di pagare (all’inizio anche piccole somme) o il materiale sessuale verrà diffuso sui social.

In molti i casi le immagini non vengono ottenute con il consenso della vittima ma il meccanismo resta lo stesso e soprattutto per i ragazzi la vergogna rende difficile confidarsi con genitori o adulti per chiedere aiuto. La polizia postale consiglia non solo di non cedere mai al ricatto e di non vergognarsi perché si tratta di criminali che sfruttano la fragilità delle vittime, ma anche di non cancellare i messaggi degli estorsori né di chiudere i profili su cui si viene contattati. Fondamentale poi procedere alla denuncia o alla segnalazione (www.commissariatodips.it).

Nel revenge porn, invece, la pubblicazione dei video o delle immagini punta a denigrare e punire la vittima con cui di solito c’è un legame. Dei 259 casi trattati dalla polizia postale nei primi undici mesi di quest’anno, 183 hanno riguardato donne, 19 delle quali con meno di 18 anni (in tutto le vittime minori sono 26).

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