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La minaccia di un déjà-vu era già emersa. Ora è esplicita. Un rapporto della organizzazione non governativa Human Rights Watch accusa i paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf), il gruppo in guerra da oltre un anno contro l’esercito regolare sudanese, di aver ucciso «almeno» migliaia di persone e aver provocato centinaia di migliaia di sfollati nei propri attacchi fra aprile e novembre 2023. Gli assalti si sono concentrati nei pressi della città di Geneina, nel Darfur occidentale, una delle diramazioni del conflitto che si trascina da oltre un anno nel terzo Paese africano per dimensioni.
I crimini di guerra e contro l’umanità imputati ai paramilitari, si legge nel testo condiviso con il Sole 24 Ore, sono stati commessi nel «contesto di una campagna di pulizia etnica contro i Masalit e altre popolazione non arabe nei pressi della città». Uno scenario già vissuto nel conflitto che ha insanguinato la regione agli inizi degli anni Duemila, a partire dai carnefici accusati allora e tornati alla ribalta oggi. Le stesse Rsf capitanate da Mohamed Dagalo, detto «Hemetti», sono eredi delle milizie Janjaweed che avevano già disseminato il terrore nel conflitto di un paio di decenni fa.
Ora si sarebbero macchiate di atrocità identiche a quelle contestate nella prima stagione di violenze, in uno dei conflitti più cruenti su scala africana e globale. Nell’arco del primo anno della guerra, scoppiata il 15 aprile 2023 dai dissidi fra il generale al-Burhan e lo stesso Hemetti, le stime sulle vittime diffuse dal database di conflitti Acled parlano di quasi 15mila vittime. Il bilancio della crisi umanitaria è anche più corposo: dati aggiornati al 5 maggio 2024 dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati registrano 8,8 milioni di sfollati.
Il rapporto di Hrw, intitolato «I Masalit non torneranno a casa», documenta come Rsf e milizie alleate abbiano «bersagliato» fra aprile e giugno del 2023 le vicinanze della città di Geneina, accanendosi su una popolazione «prevalentemente» Masalit: un gruppo etnico che si vive fra Darfur e Ciad orientale, classificato come «africano» dalle truppe arabe che popolano la coalizione fra Rsf e alleati.
Le violenze sono tornate a intensificarsi a novembre, favorendo i flussi migratori oltre il confine orientale con il Ciad: non a caso, lo sbocco di oltre mezzo milione di rifugiati in fuga dalle violenze di quelli che erano noti come i «demoni a cavallo» nel primo conflitto del Darfur. Gli attacchi registrati e contestati da Hrw includono tortura, stupri e saccheggio, secondo le testimonianze raccolte dalla Ong su un campione che include 220 persone in Ciad, Uganda, Kenya, Sud Sudan, oltre alla visione di oltre 120 foto e video degli eventi, immagini satellitari e documenti condivisi da organizzazioni umanitari.
La Ong ha rinnovato il suo appello a governi, Unione africana e Nazioni unite perché «agiscano ora» in protezione dei civili. Il rapporto identifica gli estremi della pulizia etnica nelle «serie violazioni» contro i Masalit e altre comunità non arabe con l’obiettivo «apparente» di indurli ad abbandonare la regione in maniera permanente. Il contesto di sfondo alle uccisioni, evidenzia Hrw, solleva anche la possibilità che Rsf ed alleati abbiano «l’intenzione di distruggere in tutto o in parte i Masalit nel Darfur occidentale»: un’ipotesi che indicherebbe che «il genocidio è già stato commesso o sta venendo commesso».
Alberto Magnani
Redattore
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