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LinkedIn e il rischio di deriva narcisistica: perché tornare a moderazione e sobrietà

di Lorenzo Cavalieri*

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LinkedIn e il rischio di deriva narcisistica: perché tornare a moderazione e sobrietà

LinkedIn e il rischio di deriva narcisistica: perché tornare a moderazione e sobrietà

Sebbene non ci siano segnali di rallentamento, la piattaforma in prospettiva potrebbe essere messa in pericolo dalla “deriva narcisistica”, un processo che si è concretizzato già a partire da alcuni anni fa sugli altri social network

5 aprile 2024
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3' di lettura

Oggi è difficile ricordare com’era il mondo del lavoro quando non esisteva LinkedIn. In questa piattaforma che usiamo come carta d’identità e “show room” della nostra professionalità cerchiamo lavoro, collaboratori, clienti. Promuoviamo la nostra azienda, acquisiamo informazioni utili per la nostra attività. Non cresce solo il numero degli iscritti ma il numero di chi quotidianamente dialoga, commenta, condivide, posta (voce del verbo postare) su LinkedIn.

Sebbene non ci siano segnali di rallentamento, la piattaforma in prospettiva potrebbe essere messa in pericolo dalla “deriva narcisistica”. Si tratta di un processo che si è concretizzato già a partire da alcuni anni fa sugli altri social network. Se i social sono nel loro DNA generatori di narcisismo, la facilità di produzione e pubblicazione di immagini ha consentito l’esplosione di un vero e proprio “culto dello specchio”: Guardate come sono bello, come sono bravo, come sono vivo. Col tempo questo contagio narcisistico genera nella piazza virtuale insofferenza se non addirittura disgusto.

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Un recente studio di Jonathan Haidt e Zach Rausch assocerebbe questa deriva al crescere del disagio giovanile (malessere psichico, malattie, suicidi, ecc.). Se il gioco è farsi belli, c’è sempre qualcuno più bello di te, più seguito di te, più felice di te. Questo genera frustrazione, senso di inadeguatezza, invidia, risentimento. Da qui conseguenze patologiche sulla salute mentale o nel migliore dei casi la scelta liberatoria del JOMO (joy of missing out): abbandono la piazza virtuale che mi fa star male.

Cosa c’entra il disagio di un adolescente con LinkedIn? Apparentemente nulla, ma, mutatis mutandis, la dinamica è potenzialmente identica. Se stare su LinkedIn significa ostentare i propri successi, c’è sempre qualcuno che ha più successo di te. Da qui i soliti frutti avvelenati: invidia, frustrazione risentimento. Se LinkedIn resterà un bel posto da frequentare dipenderà moltissimo da quanto saremo capaci di regolare e contenere il nostro naturale narcisismo.

Se ci pensiamo bene, ogni nostro cenno di vita su LinkedIn (post, commento, condivisione) è intrinsecamente un atto di affermazione personale. Questo stesso articolo verrà presumibilmente “affisso sulla bacheca” e diventerà ipso facto uno strumento di autopromozione. Difficile pensare che un’azione su LinkedIn non diventi sempre in qualche modo, più o meno direttamente, un ammiccamento in vetrina. In questa prospettiva si può senz’altro dire “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.

Tuttavia per custodire la straordinaria utilità della piattaforma per le nostre carriere potremmo tutti veicolare con i nostri comportamenti una cultura di moderazione e sobrietà.

Difficile trasformare in regole una sensibilità. Proviamoci ugualmente. Evitiamo innanzitutto post completamente autoreferenziali. Cosa può significare in concreto? Proviamo ad applicare queste tre regole:

1) Limitiamo nei nostri testi l’utilizzo della prima persona singolare. Può apparire un accorgimento linguistico banale, ma limita effettivamente l’inclinazione all’autoincensamento. Quindi, se vogliamo raccontare al mondo che abbiamo conseguito una certificazione professionale importante, riduciamo il numero di frasi in cui parliamo in prima persona singolare “sono molto onorato di….Ho superato…Ho affrontato…Ho conseguito” utilizzando più frasi che hanno come soggetto per esempio la certificazione: “La certificazione è nata per… La certificazione consente alle aziende di …”, ecc. Si tratta comunque di autopromozione ma con una sfumatura meno ego-riferita e dunque meno antipatica. Il messaggio di fondo “Io sono bravo perché ho la certificazione” passa ugualmente.

2) Facciamo in modo che al di là del racconto autopromozionale ci sia comunque un contenuto interessante e utile. Le persone non entrano in LinkedIn per ammirare e applaudire le imprese degli altri. Sono in LinkedIn per recuperare informazioni preziose per la propria carriera. Dunque se voglio raccontare di aver conseguito la certificazione x, dopo aver celebrato il mio successo, mi dedicherò a fornire qualche utilità a chi legge, per esempio suggerimenti su come affrontare lo studio o il test per la certificazione.

3) I nostri contatti ci vogliono bene e ci stimano (spesso), ma possono senz’altro fare a mano di vederci in continuazione alle prese con cene aziendali, selfie con fornitori, cerimonie di diplomi, tavole rotonde, conferenze, riunioni strategiche, call nell’auto aziendale. La nostra immagine è già sempre presente nella foto profilo. Non è necessario sempre “metterci la faccia”.

Riassumiamo con uno slogan: va bene l’ego, ma anche un po’ di meno.

* Managing director della società di formazione e consulenza Sparring

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