Migranti Albania, uno è vulnerabile: già di ritorno in Italia. Attesa la decisione dei giudici sugli altri sette
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Rimangono in sette i richiedenti asilo portati oggi in Albania dalla nave Libra della Marina militare. Uno degli otto migranti destinati alla procedura accelerata di frontiera - 3 egiziani e 5 bengalesi - si è infatti scoperto essere vulnerabile per problemi sanitari durante lo screening medico fatto all’arrivo stamattina nel porto di Shengjin. Sarà quindi trasferito a Brindisi a bordo della stessa nave della Marina Militare. I suoi compagni di viaggio rimangono invece nel centro di Gjader.
A stretto giro, come prevedono le procedure accelerate alla frontiera, la valutazione lampo della commissione territoriale sulla domanda di protezione internazionale, i prevedibili ricorsi e l’incognita: il tribunale di Roma (la decisione potrebbe arrivare già domenica) convaliderà i trattenimenti in vista del rimpatrio? L’elenco dei Paesi di provenienza sicuri, inserito nel decreto legge e poi confluito nel Dl flussi, basterà a scongiurare nuovi stop alla luce della sentenza della Corte di giustizia Ue del 4 ottobre?
Dopo le polemiche delle ultime settimane il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, auspica che «la giurisdizione possa lavorare serenamente. I magistrati fanno il loro mestiere e non c’è nessuna invasione di campo». Nel primo viaggio la Libra portò lo scorso 16 ottobre a Shengjin 16 migranti. In quattro non superarono lo screening (2 vulnerabili e due minorenni) e presero subito la via dell’Italia. Gli altri 12 vennero liberati due giorni dopo la mancata convalida dei trattenimenti da parte dei magistrati della sezione immigrazione del tribunale di Roma.
Gli otto migranti arrivati l’8 novembre in Albania sono stati intercettati in acque internazionali a sud di Lampedusa e portati sulla Libra lunedì scorso. Sul pattugliatore sono stati sottoposti ad un pre-screening per verificare che avessero i requisiti previsti dalle norme: maschi maggiorenni, non vulnerabili e provenienti da uno dei 19 Paesi sicuri. Sono rimasti sulla nave ben 5 giorni prima di arrivare a Schengjin. Il gruppo è sceso in mattinata dal pattugliatore italiano. Tutti in tuta nera con fascia viola sul petto fornita a bordo, infradito e buste di plastica con i loro pochi averi in mano. Prima tappa l’hotspot allestito al porto, dove l’equipe medica italiana ha svolto esami più accurati sugli stranieri che hanno fatto emergere vulnerabilità in uno di loro tali da sconsigliare la sua permanenza in territorio albanese. Sul posto è presente una delegazione parlamentare italiana e rappresentanti delle associazioni del Tavolo asilo e immigrazione in missione di monitoraggio per verificare le condizioni dei centri: spazi abitativi, servizi igienici, accesso agli spazi aperti, il rispetto delle procedure legali e internazionali, inclusa la possibilità per i migranti di scegliere un difensore e ricevere informazioni nella propria lingua, la legittimità del processo di selezione e trattenimento.
Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, continua a difendere l’operazione ed annuncia nuovi ricorsi in vista di possibili nuove bocciature dei trattenimenti. «Noi - afferma - siamo convinti che sia tutto conforme al diritto europeo. I percorsi giudiziari sono lunghi e complessi. Ci sono dei giudici che si stanno pronunziando in un certo modo, noi non siamo d’accordo su queste pronunzie, le abbiamo impugnate, faremo altre impugnative se non dovessimo condividere altri provvedimenti e poi si giungerà a un punto in cui ogni processo arriva ad un terzo grado finale che stabilirà». L’attesa è per la Cassazione che il 4 dicembre deciderà su un interpello avanzato proprio dai giudici romani per decidere se possono mantenere una certa discrezionalità nella valutazione di un Paese sicuro o dovranno semplicemente attenersi alla lista del ministero degli Esteri (ora in quella contenuta nel nuovo decreto legge dello scorsi 21 ottobre).
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