Albania, tribunale Roma rinvia alla Corte Ue e sospende il trattenimento dei migranti: rientreranno in Italia
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Secondo flop. La sezione immigrazione del tribunale civile di Roma ha sospeso la convalida dei trattenimenti nel centro albanese di Gjader dei sette migranti - due provenienti dall’Egitto e tre dal Bangladesh - che erano arrivati in Albania a bordo della nave Libra venerdì mattina. L’ottavo, egiziano, era stato rimandato subito in Italia dopo lo screening sanitario nell’hotspot di Schengjin.
Il provvedimento da convalidare è stato emesso dalla questura di Roma. Ma il tribunale, replicando nella sostanza la prima decisione di metà ottobre con cui accese semaforo rosso al trattenimento dei primi 12 migranti a Gjader (altri quattro erano tornati immediatamente a Brindisi perché minorenni o malati), ha di nuovo intimato l’alt, stavolta in attesa della Corte di giustizia europea che dovrà pronunciarsi su quattro quesiti e in generale sulla validità, ai sensi del diritto comunitario, dell’elenco dei Paesi sicuri redatto dall’Italia, questione già sollevata nei giorni scorsi dal tribunale di Bologna. Quello di Catania, invece, è andato oltre, disapplicando direttamente il Dl perché ritenuto incompatibile con il diritto Ue.
«In ragione del rinvio pregiudiziale i giudici non si sono pronunciati sulle richieste di convalida - si legge in una nota del tribunale - ma hanno dovuto necessariamente sospendere i relativi giudizi in attesa della decisione della Corte di giustizia. La sospensione dei giudizi non arresta il decorso del termine di legge di quarantotto ore di efficacia dei trattenimenti disposti dalla questura». Scadute le 48 ore, i sette migranti saranno portati sulla nave Visalli della Guardia costiera a Brindisi, che raggiungeranno nella notte, e saranno trasferiti in un centro per richiedenti asilo in territorio pugliese per essere sottoposti all’iter ordinario di esame della domanda di protezione internazionale.
La decisione è destinata a inasprire lo scontro tra Governo Meloni e magistratura. Anche perché l’ordinanza è arrivata dopo l’approvazione della lista dei Paesi sicuri - quelli dove si possono applicare le procedure accelerate alla frontiera - per decreto legge (prima era stabilità con decreto interministeriale). Una mossa con cui l’Esecutivo ha provato a blindarla dopo la sentenza del 4 ottobre con cui i giudici del Lussemburgo hanno stabilito che un Paese può essere classificato come sicuro solo se tale sicurezza è garantita in modo generale e uniforme su tutta la sua superficie territoriale. Il Viminale ha già fatto filtrare che si costituirà di fronte alla Corte Ue per sostenere le proprie ragioni.
Nella nota diffusa dalla presidente della sezione immigrazione del tribunale civile di Roma, Luciana Sangiovanni, si specifica che «i criteri per la designazione di uno Stato come Paese di origine sicuro sono stabiliti dal diritto dell’Unione europea. Pertanto, ferme le prerogative del legislatore nazionale, il giudice ha il dovere di verificare sempre e in concreto - come in qualunque altro settore dell’ordinamento - la corretta applicazione del diritto dell’Unione, che, notoriamente, prevale sulla legge nazionale ove con esso incompatibile, come previsto anche dalla Costituzione italiana». La nota chiarisce anche che l’esclusione di uno Stato dal novero dei Paesi di origine sicuri non impedisce il rimpatrio o l’espulsione di chi si vede respinta la domanda di asilo: ha effetti soltanto sull’applicabilità o meno delle procedure accelerate.
Nelle cinquanta pagine del provvedimento, i giudici romani pongono alla Corte Ue quattro quesiti chiedendo di «chiarire vari profili di dubbia compatibilità con la disciplina sovranazionale» emersi proprio dopo l’introduzione da parte del Governo dell’ultimo Dl sui Paesi sicuri. Secondo il tribunale, il Governo ha adottato una interpretazione del diritto dell’Unione europea e della sentenza della Corte di giustizia del 4 ottobre «divergente da quella seguita dal tribunale di Roma nei precedenti procedimenti di convalida delle persone condotte in Albania e lì trattenute». Nello specifico, chiedono se il diritto «dell’Unione osti a che un legislatore nazionale, competente a consentire la formazione di elenchi di Paesi di origine sicuri e a disciplinare i criteri da seguire e le fonti da utilizzare a tal fine, proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro».
Immediata la reazione del vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini: «Un’altra sentenza politica non contro il Governo, ma contro gli italiani e la loro sicurezza. Governo e Parlamento hanno il diritto di reagire per proteggere i cittadini, e lo faranno. Sempre che qualche altro magistrato, nel frattempo, non mi condanni a sei anni di galera per aver difeso i confini…». Il riferimento è alla richiesta dell’accusa nel processo Open Arms, che lo vede sul banco degli imputati per negato illegittimamente nell’estate del 2019 alla nave della Ong spagnola Open Arms di far sbarcare nel porto di Lampedusa 147 migranti soccorsi in mare. Al comizio dei leader del centrodestra in corso a Bologna il numero uno della Lega aggiunge: «Nessuno mi toglie l’idea che quelle sentenze servano alle cooperative rosse per fare soldi». Dalla Lega gli dà manforte Claudio Borghi, che a Palazzo Madama grida che «i magistrati hanno passato il segno» e «stanno dimostrando di essere fuori legge».
Toni durissimi anche da parte dell’altro vicepremier, il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «In una democrazia c’è la tripartizione dei poteri. Quando uno di questi poteri scavalca i propri confini mette in difficoltà la democrazia. Ci sono alcuni magistrati che stanno cercando di imporre la loro linea politica al Governo. Questo non è accettabile». «Non è un magistrato - ha aggiunto il leader di Forza Italia - che decide qual è un Paese sicuro perché non lo sa, perché non si occupa di queste cose. Se il Governo che ha gli strumenti per farlo dice che un Paese è sicuro, allora c’è qualcosa che non funziona». Il presidente dei senatori azzurri in assemblea al Senato va oltre parlando di «una Capitol Hill al contrario»: «I magistrati sono eversivi, c’è bisogno di una rifondazione della magistratura».
Di fronte alle parole dei vicepremier e degli esponenti della maggioranza, l’Anm interviene in difesa dei magistrati. «Mi preme solo ricordare - dice il segretario generale Salvatore Casciaro - che la primazia del diritto dell’Unione europea è l’architrave su cui poggia la comunità delle corti nazionali e impone al giudice, quando ritenga la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione, di applicare quest’ultima o, in caso di dubbio, di sollevare rinvio pregiudiziale, cosa che è stato fatto in questo caso dal tribunale di Roma». Chiaro il messaggio: «Non ci si può quindi lamentare che i giudici fanno il loro dovere né dare loro la colpa di inciampi nel perseguimento di politiche migratorie che spetta ovviamente al Governo decidere ma che non possono prescindere del quadro normativo europeo e sovranazionale nel quale si collocano».
I partiti di opposizione partono lancia in resta contro l’Esecutivo. Dal Pd tuona il responsabile sicurezza Matteo Mauri: «Alla faccia del cosiddetto “modello Albania”. Questo è il “modello Meloni”: violazione dei diritti, forzature istituzionali, poliziotti sottratti al proprio lavoro in Italia e soldi buttati dalla finestra! Quanto ci metteranno ancora per smetterla con questa buffonata?!». Anche il senatore Filippo Sensi è scorato: «Davvero incredibile l’inettitudine, l’incapacità, lo spreco, l’inutilità». Il collega M5S Alfonso Colucci denuncia l’«ignobile speculazione fatta sulla pelle delle persone». Per il deputato Riccardo Magi (+Europa) «il Governo ha l’obbligo di interrompere le deportazioni: non può e non deve esserci una terza missione prima del giudizio della Corte di Giustizia Ue sui Paesi sicuri». Magi chiede anche di ritirare l’emendamento con cui il Dl Paesi sicuri è stato fatto confluire al Senato nel decreto Flussi. Mentre il capogruppo di Italia Viva a Palazzo Madama, Enrico Borghi, dice in Aula: «È indispensabile che il ministro dell’Interno venga in quest’Aula e spieghi cosa sta accadendo in questo Paese!».
Manuela Perrone
inviata parlamentare
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