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Il Piano strutturale di bilancio che ha iniziato in Parlamento il proprio rapido esame rappresenta la nuova forma assunta dal programma di finanza pubblica dopo la riforma della governance economica dell’Unione europea, approvata a fine 2023 dopo un faticoso negoziato fra i Governi e destinata a farsi sentire dal prossimo anno. Il Piano, abbreviato in Psb, sostituisce la vecchia NaDef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza con cui ogni autunno il Governo faceva il punto sulle dinamiche di finanza pubblica e tracciava gli spazi di manovra per la legge di bilancio. A differenza della sua antenata, il Piano strutturale di bilancio è però parecchio più impegnativo, perché impegna il Paese in un programma per cinque anni e fissa i livelli massimi di spesa primaria netta per i prossimi sette. L’impegno è vincolante, perché può essere modificato solo per eventi eccezionali o cambi di Governo: nonostante questo, comunque, il Parlamento se la caverà in un paio di mezze giornate di audizioni concluse poi con l’intervento del ministro dell’Economia e il voto sulle risoluzioni
La correzione dei conti
Cardine del Piano, come del nuovo Patto di stabilità Ue partorito dalla riforma, sono i tetti massimi di aumento della spesa, concordati fra Commissione Ue e Governo con l’obiettivo di garantire la riduzione del deficit necessaria a rispettare i parametri comunitari e soprattutto, su un terreno più sostanziale, a riportare il rapporto fra debito pubblico e Pil su un sentiero sostenibile di riduzione. Per l’Italia questo significa un taglio annuo al deficit strutturale di 0,55 punti di Pil, circa 12 miliardi, nel 2025 e 2026, seguito da una correzione marginalmente più leggera (0,52% del Pil) negli anni successivi (dal 2027 al 2031) quando la discesa del deficit sotto al 3% del prodotto interno lordo avrà fatto uscire il Paese dalla procedura per disavanzi eccessivi.
La spesa primaria netta
La leva per ottenere tutto ciò è individuata dalle nuove regole europee nel freno da tirare alla spesa primaria netta, cioè il totale delle uscite pubbliche depurate da interessi sul debito, trasferimenti europei (ma non i prestiti del Pnrr) e cofinanziamenti nazionali, una tantum e sussidi ciclici contro la disoccupazione. Questo aggregato, che in Italia vale 1.072 miliardi l’anno secondo la Ragioneria generale, dovrà aumentare mediamente non più dell’1,5% all’anno fino al 2031; il che equivale a dire che dovrà ridursi in termini reali, perché l’inflazione pur moderata del periodo viaggerà comunque a tassi più elevati, invertendo quindi drasticamente la rotta rispetto alla corsa della spesa acceleratasi con il Covid.
Qualche buona notizia
Il percorso tracciato dal Piano di bilancio strutturale per i prossimi anni è quindi parecchio impegnativo. Ma nei numeri esposti dalle tabelle del documento emergono anche dati positivi, che daranno una grossa mano al Governo nel costruire la legge di bilancio basata sul nuovo programma. Le notizie migliori arrivano dalle entrate, che grazie all’aumento dell’occupazione e alla revisione al rialzo dei livelli di Pil comunicata dall’Istat il 23 settembre scorso viaggiano ad altezze nettamente maggiori rispetto al previsto (+10,1 miliardi quest’anno, +17,6 il prossimo, +27,2 nel 2026 e così via). Questo comporterebbe “a legislazione vigente”, cioè al netto della legge di bilancio, una riduzione del deficit molto più marcata rispetto a quella necessaria per rispettare i parametri europei, con la conseguenza che il Governo potrà allargare rispetto a questa dinamica gli spazi di deficit per quasi 52 miliardi in tre anni.
Le coperture
La cifra è consistente ma, come avverte lo stesso piano, non basta. Perché nella lista delle cose da fare stilata nel programma c’è la trasformazione strutturale del taglio al cuneo fiscale, pure destinato a cambiare architettura per evitare l’effetto scalone che penalizza chi supera i 35mila euro di reddito lordo annuo e quindi complica i rinnovi dei contratti pubblici e privati, la conferma, anch’essa a tempo indeterminato, dell’Irpef a tre aliquote, l’aumento della spesa sanitaria, il rifinanziamento del pubblico impiego, l’aumento delle spese per la difesa e così via. Serviranno, quindi, le inevitabili, quanto spesso mitologiche nel caso italiano, coperture strutturali. Quali? Qui il documento è meno loquace, perché gli snodi politici sono delicatissimi: sul tavolo c’è comunque la riduzione dei bonus all’edilizia, il superamento delle accise soft per il gasolio, il contributo chiesto alle banche e la spending review nei ministeri. Partite ancora apertissime, ma da chiudere in fretta.
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