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Hanno già votato in circa 50 milioni, quasi un terzo del totale degli elettori del 2020, 155 milioni pari al 66% degli aventi diritto, un massimo storico. Stando all’Election Lab dell’Università della Florida, per l’esattezza al 28 ottobre il numero dei votanti ha raggiunto i 47.482.355. Di persona, avvalendosi del voto anticipato in speciali urne negli stati dove è disponibile, le schede depositate sono state 24.298.083 milioni. Via posta ne sono arrivate altre 23.257.476.
Le passioni e la polarizzazione politica, insomma, è già evidente nella corsa al voto. I numeri sono secondi solo al record assoluto nel voto anticipato o postale fatto segnare, assieme al massimo storico di votanti in assoluto, quattro anni or sono in piena pandemia. Le schede depositate o o inviate prima della giornata elettorale rappresentarono allora circa il 70% del totale. Quei voti dovrebbero essere destinati oggi ad avvicinarsi ancora a quel precedente massimo: complessivamente oltre 66 milioni di americani hanno richiesto soltanto il voto postale, il triplo dei voti finora giunti a destinazione. E nei sette stati swing, i più combattuti e forse determinanti, le cifre sono ormai vicine ai numeri del 2020.
Lo sprint del voto anticipato si offre a molteplici letture. Le elezioni americane potrebbero in realtà essere già decise prima del 5 Novembre, visti i numeri del cosiddetto early voting. Un ruolo centrale potrebbero giocarlo le macchine organizzative dei due partiti e la loro capacità di mobilitare i loro elettori e portarli alle urne, un esercizio nel quale in passato hanno eccelso i democratici ma che con Trump ha visto anche i repubblicani brillare, catturando americani in passato a bassa propensione al voto. Anche se non è dato immaginare il risultato fino allo spoglio ufficiale, che potrebbe richiedere ore e anche giorni visto che alcuni stati, quali la Pennsylvania, contano i voti non di persona soltanto una volta finito il conteggio delle schede imbucate di persona nel giorno elettorale.
La seconda lezione è che il risultato si conferma particolarmente complesso da prevedere: a differenza del recente passato, quando i repubblicani guidati da Donald Trump avevano denunciato il voto anticipato e via posta come madre di tutte le truffe, lasciando questo campo di battaglia ai democratici, stavolta hanno incoraggiato i loro sostenitori a votare non appena possibile per massimizzare i loro consensi. Nei comizi Trump attacca sempre gli avversari come truffatori, tesi smentite dai fatti, ma celebra l’early voting dei suoi sostenitori quale dimostrazione di forza.
La terza lezione deriva dai dettagli su chi ha ad oggi votato. Le statistiche, va premesso, sono parziali perché non tutti gli stati pubblicano informazioni sull’appartenenza o meno ad un partito oppure altre indicazioni demografiche. L’identificazione partitica non assicura inoltre il voto presidenziale: la democratica Kamala Harris corteggia repubblicani moderati, il repubblicano Donald Trump invita i democratici popolari e conservatori a sostenerlo.
I dati emersi, basati su circa 23 milioni di votanti, mostrano però sulla carta lo spaccato di uno scontro al cardiopalmo: i votanti registrati al partito democratico sono il 39,5%, i repubblicani il 36,3%, quasi alla pari, e i restanti non affiliati o indipendenti, quindi per definizione difficili da catalogare, ben il 24,2 per cento. Il 54% sono donne, il 44% uomini, percentuali che riflettono la differenza di genere nell’elettorato. Il 65% sono bianchi, il 22% afroamericani.
Marco Valsania
Giornalista
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