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Fra intelligenza artificiale, soft skill e Gen Z: ecco come va ripensata la leadership

di Gianni Rusconi

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Fra intelligenza artificiale, soft skill e Gen Z: ecco come va ripensata la leadership

Fra intelligenza artificiale, soft skill e Gen Z: ecco come va ripensata la leadership

Un’analisi condotta dalla società di consulenza Buono & Partners sostiene che i modelli tradizionali basati su autorità e controllo si rivelano sempre meno efficaci per gestire le nuove dinamiche lavorative e si concentra sul ruolo cruciale delle soft skill

21 ottobre 2024
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4' di lettura

È realmente una trasformazione radicale quella che sta interessando il concetto di leadership (e la sua applicazione) nel contesto lavorativo attuale, sempre più complesso e ibrido e segnato dalla sempre maggiore pervasività delle tecnologie digitali? Difficile trovare argomentazioni che provino il contrario, e anche la recente indagine condotta su oltre 650 C-Level italiani dalla società di consulenza Buono & Partners in collaborazione con YOURgroup ed Eggup (Gruppo Zucchetti) va a confermare come la concatenazione di più fenomeni “disruptive” (la pandemia, la diffusione su larga scala dell’intelligenza artificiale e l’entrata in scena della Generazione Z) abbia ulteriormente accelerato la necessità di un ripensamento del concetto di leadership.

Modelli tradizionali sempre meno efficaci

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L’analisi prende spunto dalla constatazione che i modelli tradizionali basati su autorità e controllo si rivelano sempre meno efficaci per gestire le nuove dinamiche lavorative e si concentra sul ruolo cruciale delle soft skill quale risorsa per definire l’efficacia di un leader. Intelligenza emotiva, empatia, ascolto attivo e agilità cognitiva, si legge nella nota che accompagna lo studio, sono le capacità che permettono ai manager non solo di gestire le situazioni di crisi, ma anche di creare ambienti di lavoro che favoriscono l’innovazione e la collaborazione fra i dipendenti e in cui l’incertezza viene vista non come una minaccia ma come un’opportunità. Ai nuovi leader sono quindi richieste doti per trovare ispirazione, coinvolgere e adattarsi continuamente e il rapporto, in tal senso, ha messo evidenza i tratti di personalità che risultano più rilevanti per il successo manageriale, analizzandoli attraverso cinque specifici parametri (energia, amicalità, responsabilità, stabilità emotiva e apertura mentale) e identificando sia i tratti più utili per guidare un team o un’organizzazione sia le possibili derive negative di questi stessi tratti, dal rischio di burnout all’eccessiva accondiscendenza fino al rallentamento dei processi.

La sfida che chiama in causa le figure di riferimento in azienda si gioca su diversi piani e uno di questi riguarda la capacità di sviluppare una leadership equilibrata ma consapevole e determinata allo stesso tempo, capace di massimizzare i benefici delle caratteristiche personali e che va oltre il semplice ruolo decisionale per assumere quello di facilitatore del cambiamento e di motore per il coinvolgimento attivo dei team.

L’obiettivo di fondo è, nondimeno, quello di arrivare a guidare le aziende con un purpose ben definito, aspetto che sta assumendo un’importanza centrale nella leadership moderna. Una tendenza sempre più marcata vede infatti l’impegno concreto verso il raggiungimento di obiettivi (la responsabilità sociale, la sostenibilità ambientale e il contributo positivo alla società) che trascendono l’ottenimento di un profitto immediato diventare sempre di più il faro che orienta le decisioni e le strategie a lungo termine. Ed è un approccio, quello che eleva il purpose a strumento virtuoso in carico ai leader, particolarmente rilevante rispetto all’incidenza delle aspettative delle nuove generazioni (profondamente diverse da quelle dei lavoratori in età matura) sulle consuetudini che regolano la vita e le relazioni all’interno di un’azienda.

Il viaggio verso una nuova leadership flessibile è lungo e non nasconde insidie, soprattutto in quelle imprese dove la figura apicale non è un manager ma il classico imprenditore “old style” (per mindset, per formazione, per esperienza e, non in ultimo, per età).

Come affrontare la sfida del cambiamento

Come si affronta la sfida del cambiamento in queste realtà? A precisa domanda, Benedetto Buono, founding partner di Buono & Partners e Direttore del Professional Program in Business Networking della POLIMI Graduate School of Management, ha riconosciuto in effetti come «nelle organizzazioni ancorate a una leadership di tipo gerarchico, ancora diffusa in diverse realtà italiane di piccole dimensioni, il cambiamento è sempre difficile da realizzare. I modelli basati su autorità e controllo, che sono stati dominanti negli anni ’80 e ’90, risultano oggi totalmente inefficaci di fronte a sfide come l’avvento dell’AI o l’ingresso nel mondo del lavoro delle nuove generazioni».

Nelle PMI italiane a conduzione familiare, questa la fotografia scattata da Buono, il controllo centralizzato è un rischio costante, pur considerando che, attraverso il ricambio generazionale, le cose potranno migliorare. La sfida, in questi contesti, è accentuata dalla tendenza di molti imprenditori a preservare pratiche tradizionali e a limitare gli scambi creativi e collaborativi con l’esterno. «L’introduzione di un approccio più aperto - conclude la sua analisi l’esperto - richiede non solo la disponibilità a delegare ma anche il coinvolgimento attivo dei giovani, i quali portano una mentalità più agile e adatta a guidare il processo di trasformazione, requisito spesso carente nelle imprese dove la leadership è accentrata su una singola figura».

Altrettanto decisiva è la sfida legata all’impatto che l’AI e l’intelligenza artificiale generativa andranno ad esercitare sul mondo delle professioni. Basterà fare formazione e reskilling per preparare la forza lavoro a guidare questa trasformazione? E questa nuova “rivoluzione tecnologica” costituirà un’occasione per valorizzare e i giovani talenti? «Si tratta – osserva in proposito Buono - di un tema particolarmente rilevante per l’Italia, un Paese dove la meritocrazia e il talento giovanile sono tradizionalmente trascurati rispetto al valore ancora fondamentale attribuito al fattore esperienza, che rimarrà in futuro ancora rilevante, ma non sarà più sufficiente da solo: la flessibilità, la capacità di apprendere rapidamente e l’agilità cognitiva saranno altrettanto fondamentali».

In un tessuto economico e aziendale come il nostro, questo l’assunto finale del rapporto, la leadership di domani dovrà quindi trovare un equilibrio tra il riconoscimento delle competenze consolidate e l’abilità di adattarsi velocemente ai cambiamenti tecnologici. I leader con queste qualità, non a caso, saranno in grado di comprendere le potenzialità della Gen AI e di guidare i propri team in un percorso di sviluppo più innovativo e competitivo, sfruttando le capacità degli strumenti digitali per misurare in maniera più chiara e trasparente le performance basandosi sui dati, a tutto beneficio (almeno potenzialmente) della valorizzazione del merito e del talento. E in questo stesso scenario, il reskilling e la formazione continua diventeranno essenziali non solo per mantenere rilevante la forza lavoro attuale, ma anche per creare spazi dove i giovani, con meno esperienza ma più dimestichezza con le nuove tecnologie, potranno emergere e contribuire al successo delle aziende italiane, soprattutto di quelle piccole e medie.

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