di Davide Madeddu
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Dal rame al cobalto, per continuare con piombo, zinco e litio sino alle argille. In Italia riparte la corsa alla ricerca di materie prime. Vuoi per i cambiamenti negli scenari internazionali vuoi per la necessità di filiere certificate e sostenibili, ma cresce il numero di richieste di concessioni per valutare eventuali riattivazioni di miniere in sonno.
Ultimo in ordine di tempo il progetto portato avanti dall'australiana Altamin per ricercare il rame a Corchia in Emilia Romagna. In questo territorio l'azienda australiana ha richiesto e ottenuto il permesso per un programma esplorativo che «comprende la valutazione dei dati storici, la mappatura geologica, il campionamento e la geofisica».
La licenza di esplorazione, come scrive l'azienda nella comunicazione ufficiale, «concede il diritto di esplorare rame, cobalto e metalli associati». La licenza, che va a interessare il sito minerario che si sviluppa in sottosuolo e considerato sino agli anni 40 uno dei più importanti per la coltivazione del rame, ha una durata sino al 2026 e potrà essere rinnovata. Un sito “importante”, sopratutto nel passato e da cui, per usare le parole di Geraint Harris, MD di Altamin, nella nota ufficiale, «le moderne tecniche di esplorazione economiche e a basso impatto ambientale» potrebbero generare «risultati preziosi».
La stessa azienda porta avanti anche altri progetti in altre regioni d'Italia. Si tratta del progetto relativo alla ricerca di cobalto a Usseglio in Piemonte per cui è previsto un programma che punta a valutare il sito che ha funzionato sino al 1750 quando si lavorava per l'estrazione del cobalto che poi veniva esportato in Germania e utilizzato come pigmento. In itinere anche progetti per l'individuazione e l'eventuale utilizzo del Litio presente nell'alto Lazio sfruttando i pozzi geotermici scavati tra gli anni 70 e gli anni 90 dall'Eni e dall'Enel alla ricerca di acqua ad alta pressione per la produzione di elettricità. Proprio dall'analisi di quelle acque emerse un'alta concentrazione di Litio su cui ora il gruppo italo australiano vorrebbe giocare la carta della produzione rimettendo in pista un sito da tempo chiuso e dismesso.
C'è poi un altro capitolo che riguarda piombo e zinco. Da una parte c'è un progetto, portato avanti sempre da una controllata dell'azienda australiana a Gorno in provincia di Bergamo che punta a riattivare una miniera di galena e blenda (da cui si ricava piombo e zinco). Dall'atra, in Sardegna, c'è la miniera di Silius dove, la mineraria Gerrei punta a rimettere in funzione una miniera metallifera in cui si punta a estrarre, tra le altre cose, anche terre rare.
Un questa partita poi un ruolo importante viene giocato dalle argille e da materiali che, come sottolinea Fabio Granitzio, geologo con esperienza in ambito minerario anche internazionale, «in passato non godevano di particolare attenzione». E si tratta di minerali «metallici e no» da impiegare «nel campo delle energie rinnovabili o delle tecnologie informatiche».
In questo ambito rientrano anche le bentoniti, argille che hanno circa 200 applicazioni industriali. «In fonderia per la produzione di stampi di colaggio, pellettizzazione dei minerali di ferro - aggiunge il geologo -, impermeabilizzante in discariche e nella costruzione di opere idrauliche, lettiera per gatti, fanghi di perforazione e svariate altre applicazioni nell'industria primaria».
La crescita della produzione registrata nel corso degli anni per via dei forti investimenti nella ricerca, dall'avvio della guerra in Ucraina ha registrato una vera e propria impennata. «L'Italia, dall'inizio del conflitto ha dovuto rinunciare a circa 3 milioni di tonnellate di argille provenienti dall'Ucraina - argomenta il geologo -, con il risultato che c'è stata una vera e propria corsa alla presentazione di richieste permessi di ricerca per la coltivazione di questo minerale». Il vero boom però ha interessato la siderurgia: «La richiesta di bentonite ha letteralmente fatto schizzare le produzioni - prosegue -. Nonostante gli alti costi dell'energia, l'industria siderurgica di Germania, Svezia, Francia e Spagna non ha subito alcun rallentamento e, anzi, ha trascinato in maniera esponenziale le produzioni locali di bentonite».
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